Anche stavolta, lennesima tragedia causata dallo sbriciolarsi del territorio italiano viene letta come la conseguenza di una carenza di intervento pubblico. La tesi ripetuta a destra e a sinistra è che ci sia bisogno di «più Stato» per gestire il territorio, «più Stato» per impedire abusivismi, «più Stato» per evitare altri smottamenti e finanziare la tutela dellambiente. Lidea che la realtà possa essere letta in altro modo non è neppure presa in considerazione. Sulla Stampa, Barbara Spinelli per spiegare da dove vengono i lutti di questi giorni ha evocato Gomorra, le speculazioni edilizie, il venir meno del senso dello Stato e lindebolirsi della politica. Ma nemmeno sullaltro fronte la musica è diversa, se giunto a Messina anche il premier
Berlusconi si è sentito in dovere di chiamare in causa labusivismo. Ovunque ci si giri limpressione è che tutte le colpe siano del «mercato selvaggio», mentre ogni soluzione può venire unicamente dal Grande Fratello che ci aiuta e sorregge.
Non è così. Il dissesto dellItalia ha certo molte origini: talune indipendenti da azioni umane (i fattori naturali), ma altre invece che obbligano a riflettere sul quadro legale. È però discutibile lidea che per avere un Paese meglio protetto si debba ridurre ancor più la libertà dei singoli e moltiplicare il numero dei controlli e dei controllori. Con questo non si vuole certo negare le colpe di chi a Messina ha costruito mettendo a rischio la vita altrui e di chi non ha fatto abbattere, come avrebbe dovuto, quei fabbricati. Ma bisogna guardare oltre la superficie. Se nel nostro Paese le aree demaniali sotto il controllo pubblico fossero meno presenti e la proprietà privata fosse meglio rispettata, vi sarebbe più interesse a «prendersi cura» della realtà. Purtroppo, però, ci troviamo quasi sempre espropriati della nostra autonomia dazione. Due anni fa nei territori interessati dallalluvione cerano già state evidenti avvisaglie, ma in un quadro statizzato quale è quello in cui viviamo gli abitanti non hanno potuto fare nulla. Hanno atteso che i politici e i funzionari agissero, ma niente è accaduto. E ora constatiamo il fallimento. Si può sempre sperare che domani le regole siano più snelle e i politici più solerti, ma non bisognerebbe essere costretti a confidare nellimprobabile verificarsi di simili incroci astrali. Meglio sarebbe, allora, che da una gestione pubblica e fallimentare del territorio si passasse a una privata. Qualcuno potrebbe obiettare che, in realtà, sono esattamente imprese quelle che hanno costruito in modo tanto irresponsabile. Non si tratta però di una replica fondata, dato che nessuno nega che gli uomini possano essere disonesti e che talora effettivamente lo siano. Ma i malintenzionati, imprenditori o politici che siano, sono ben felici dellattuale gestione statizzata del territorio, dato che in questo modo essi possono manipolare le regole a loro favore. Per questo bisognerebbe rivalutare il diritto privato e la proprietà, permettendo ad ognuno di difendere con i denti ciò che è suo. A chi costruisce palazzi mettendo a rischio la vita altrui non dovrebbe essere permesso di nascondersi dietro a unautorizzazione, perché ogni proprietario dovrebbe poter facilmente agire in giudizio contro di lui per vedere garantiti i propri diritti. Ma la cultura prevalente non capisce come la soluzione sia la riscoperta della proprietà: contro gli arbitri di un diritto che ormai è solo una serie di editti e che in questa maniera ha lasciato sguarnito lintero territorio. Rifondando su basi più solide la proprietà si vedrebbero sorgere ovunque sentinelle schierate contro chi mette a rischio la vita e i beni altrui. Se nei paesi comunisti la distruzione dellambiente è stata ben peggiore che in Occidente, ciò si deve soprattutto al fatto che in quelluniverso la proprietà non esisteva. Anche da noi tale istituto è però in declino e questo spiega in larga misura lo sbriciolarsi del Paese.
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