Impeccabile, riservato e prudente nel suo anonimato istituzionale. Caratteri di una carriera da grand commis, quella di Bruno Ferrante. Tratti che sembrano oggi distanti anni luce se mettiamo a confronto le immagini qui sopra riprodotte: fotografie scattate a distanza di pochi mesi luna dallaltra. Ferrante, nella prima a sinistra, veste i panni del prefetto di Milano sempre interessato a cercare un modello di governo partecipativo è tirato a lucido e le sue parole sono misurate, fredde e quasi schive. Laltra immagine, quella di destra, lo mostra col al mercato di via Benedetto Marcello col sacchetto della spesa in mano.
Evidente lo stridore tra il funzionario dello Stato di origini pugliesi e il candidato politico a spasso per i mercati che sfrutta loccasione per una spesina a prezzo scontato. Spicca la metamorfosi che lo vede oggi in versione buonista pur di scaldare i cuori rossi di Rifondazione. Immagine di chi getta alle ortiche il suo passato e rinnega ogni opzione del suo passato: a tal punto che, online, sul suo sito internet racconta dei suoi studi universitari con leskimo indosso. Escamotage, racconta in privato: «A Pisa, nel Sessantotto, era obbligatorio presentarsi agli esami in giacca e cravatta. Io non ho mai posseduto un eskimo». Dichiarazione sussurrata, come se fosse una vergogna non averlo indossato.
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