«Mettere sotto vetro la Gioconda? Un lavoro da filosofi»

A Trezzano una società che fabbrica teche museali: «Nel team anche critici d’arte, architetti e ingegneri»

Ci sono storie aziendali che raccontano solo di fatturato e produzione. Altre della fatica di competere sui mercati globali, sacrificando alla mera sopravvivenza qualità e specificità del made in Italy. Altre, come quella che stiamo per raccontare, che parlano invece di passione e senso della propria storia e del proprio lavoro. E che sono le vere eccellenze che questo Paese sa ancora nutrire.
Non c’è fare senza pensare. E di pensiero, in questa piccola azienda mescolata tra le decine di anonimi capannoni della periferia milanese, ce n’è veramente tanto. Dieci milioni di euro e 40 dipendenti, la ditta è la Goppion Spa, vetreria nata negli anni Cinquanta a Trezzano sul Naviglio e da quasi un trentennio vocata alla progettazione e realizzazione di vetrinistica museale. Una missione (e passione) totalizzante da quando, all’inizio degli anni Ottanta, alla direzione dell’azienda arriva Alessandro Goppion, figlio del fondatore e con una visione molto filosofica del suo mestiere. Perché qui la vetrina di un museo non protegge solo un’opera d'arte, ma contiene e fa trasparire anche una visione del mondo.
«La teca è un media e, come tale, è espressione di ciò che si vuole comunicare», dice Goppion. Il concetto non è immediato, ma basta ascoltare il titolare dell’azienda, la passione con la quale parla di ciò che fa, per capire che, davvero, non parliamo solo di cristallo e alluminio variamente combinati.
«Ogni pezzo che realizziamo - dice Goppion - è frutto di una stretta collaborazione sia con l’esterno, con il nostro committente, sia con l’interno, tra i progettisti e i realizzatori. Attualmente stiamo collaborando, tra gli altri, con il Nelson Atkins Museum of Art di Kansas City, per il quale stiamo realizzando la sezione relativa all’arte dei nativi. Per progettarne le teche è venuta qui la designer che cura l’allestimento del museo, così da pensare e sperimentare insieme a noi le soluzioni più adatte al tipo di oggetti che saranno esposti e alla filosofia che ispira il progetto museale. È fondamentale lasciare a ognuno la libertà di impostare il progetto come vuole, al di fuori di qualunque obbligo industriale. Il nostro è un artigianato tecnico: tariamo il lavoro sulle esigenze del cliente utilizzando una sensibilità artigianale e una tecnologia moderna». Dichiarazione d’intenti? Non solo. Basta andare a vedere quello che la Goppion realizza, sparsi nei principali musei del mondo. Dalle teche che proteggono la Gioconda al Louvre o il Cristo morto del Mantenga, a Brera, che sono semplici e puliti vetri in cristallo, agli ipertecnologici ma essenziali «scrigni» che conservano i manoscritti del Mar Morto al Museo d’Israele di Gerusalemme, fino alla teca che sta prendendo forma in questi giorni nell’officina di Trezzano e che presto raggiungerà San Francisco, destinazione Museo Disney: una struttura in cristallo e alluminio che sembra uscita da un fumetto, degna dell’arredo urbano di Paperopoli.
Dunque, il principio che sta alla base dell’attività di questa azienda è che, affinché ciò che si fa abbia un senso e per mantenere vivo il senso di ciò che si fa, non si può prescindere né dal contesto al quale ci si rivolge, né dalla propria storia e la propria specificità di «moderni artigiani». «Il “con” - dice ancora Goppion - è sostanziale. Noi lavoriamo insieme a un network di co-makers sparsi sul territorio milanese. Sono altre aziende, a dimensione poco più che artigiana, specializzate ciascuna in un campo specifico e complementare rispetto a quello che facciamo noi qui dentro». È la dimensione del distretto industriale, anche questa tipicamente italiana, ma sviluppata in senso orizzontale. Ed è una rete, che serve sia come protezione, perché integra le competenze di ciascuno, sia come legame, perché quello che ne viene fuori è un unicum, dove ogni parte lavora in sinergia con l’altra.
Allo stesso modo, anche all’interno dell’azienda si incontrano e si completano professionalità diverse. «Abbiamo un team fatto di architetti, storici dell’arte, filosofi che si interfaccia con le istituzioni con le quali lavoriamo. E poi una squadra più tecnica, di ingegneri e periti industriali, che progetta le teche e dà loro una prima forma “virtuale” al computer».

La continua sperimentazione sul campo, quel «provando e riprovando» che, dall’Accademia del Cimento, ha costituito la cifra caratterizzante dell’artigianalità italiana. «Quello che non si sperimenta - dice Goppion - è sicuramente sbagliato».

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