Metti una sera in pubblico Autori umiliati&offesi

Sale deserte, linciaggi emotivi, presentatori che sbagliano nomi, lettori distratti... Ecco il lato (tragi)comico del successo

Metti una sera in pubblico Autori umiliati&offesi

Da intere scolaresche che si danno alla fuga alla consegna di premi improbabili; da richieste di autografi su libri di altri ad autori che si preparano ad affrontare il pubblico leggendo prima i propri versi ad anatre e cigni. Anche per gli scrittori italiani «le umiliazioni non finiscono mai» (titolo dell’omonimo libro recentemente uscito da Guanda, a cura di Robin Robertson): a volte, infatti, le presentazioni librarie si possono trasformare in veri e propri incubi o in situazioni al limite dell’imbarazzante. E se nei Paesi anglosassoni le figuracce d’autore raccontano il lato tragicomico del successo letterario, anche in Italia scrittori e lettori si contendono l’inconfessabile. Tiziano Scarpa, ad esempio, recentemente invitato in Sicilia per leggere dei passi del suo ultimo Groppi d’amore nella scuraglia si è trovato in una scuola in festa per il suo arrivo. Peccato che durante il breve tragitto dalla scuola al teatrino dove era organizzato l’incontro su duecento studenti ne siano rimasti una decina. Gli altri? Dopo la simulazione di gioia si sono dati allegramente alla macchia: primo caso di «fuitina letteraria»?.
E sempre in Sicilia, a Mazara del Vallo, Maurizio Maggiani, vincitore dell’ultimo Premio Strega, invece di presenziare alla presentazione del suo libro si è visto consegnare «Il peschereccio d’oro»: il previsto reading si è trasformato in un imbarazzante show con ballerine scosciate e il riconoscimento consegnato da un sempreverde Daniele Piombi. «Sono stato comunque felice per il pensiero - racconta con un velo d’ironia lo scrittore -. Non è stata certo un’umiliazione. In otto anni ho partecipato a più di 450 presentazioni e devo ammettere che il fastidio maggiore è sempre quando a presentarmi sono sindaci o assessori alla cultura. Non so perché, ma storpiano sempre il mio nome: nelle diverse occasioni divento Baggiani, Maggioni, Maggini. Anche se la sofferenza maggiore l’ho provata ai tempi dell’uscita de Il coraggio del pettirosso: quel titolo non entrava proprio nella testa dei presentatori. In un paese del Veneto è diventato addirittura “Il coraggio del passerotto”: voglio dire il pettirosso ha una sua dignità, ma il passerotto mi ha dato proprio la sensazione della sconfitta».
Leonardo Colombati, autore di Perceber, uno dei romanzi rivelazione di questa stagione letteraria, ricorderà sempre la sua prima presentazione a Roma: «Una signora mi sottopose a una raffica di domande sul perché nel libro parlassi di un uomo a cui viene amputata una gamba. Solo quando replicai acidamente alla sua ultima osservazione e la vidi prendere il cappotto, la borsetta e una stampella per andar via piccata, scoprii che aveva una protesi di legno». E Alessandro Piperno, caso letterario dell’anno con il suo Con le peggiori intenzioni, racconta di quando «un signore mi ha avvicinato dicendo che gli avevo cambiato la vita. Poi mi ha dato il libro perché lo firmassi e il libro non era mio».
Un caso simile vissuto anche da Marco Vichi, lo scrittore fiorentino che con le storie del suo commissario Bordelli ha dato nuova linfa al genere giallo: «Era stato da poco pubblicato il mio primo romanzo, L’inquilino. Mi avevano chiesto di fare un incontro in un bar di Fiesole, alle 19.30. Pioveva. Arrivai verso le 19. Non c’era nessuno, a parte il barista e la persona che mi aveva invitato. Alle 19.28 entrò un signore chiudendo un ombrello gocciolante di pioggia, attraversò il bar, chiese un caffè, poi prese la tazzina e andò a sedersi nel tavolino di fronte al nostro. La donna guardò l’ora e disse che si poteva cominciare. Disse il mio nome e il titolo del libro, poi parlò un po’ della trama del romanzo e alla fine mi fece una domanda. L’uomo seduto davanti a noi mi guardava in modo strano. Alla fine si alzò in piedi e disse: “Scusate, sono venuto qua perché ho letto che Marco Vichi presentava il suo libro... ma credevo che fosse un altro Marco Vichi, un mio amico. Ci dev’essere un caso di omonimia. Arrivederci”».
Linciaggio emotivo, invece, per Tommaso Pincio: «È successo al Festival della Letteratura di Mantova. Presentavo il mio romanzo, Un amore dell’altro mondo, che parla di Kurt Cobain. A me sembrava una storia toccante ma siccome c’erano anche delle scene estreme arrivato il fatidico momento delle domande del pubblico, una ragazza si alza e mi dice: “Ma non ti vergogni a raccontare certe cose? Che esempio dai ai giovani?”. Confesso che non mi ero mai posto il problema, la letteratura abbonda di scrittori il cui stile di vita è ben peggiore del mio, ma in quella circostanza mi sentii un po’ in imbarazzo perché la sala era piena di giovani, seppur fanatici di una rockstar maledetta». Marco Mancassola, da poco in libreria con l’ottimo Il ventisettesimo anno, ricorda invece una serata milanese particolarmente pungente: «Gli organizzatori mi invitano a un incontro insieme a Joe Lansdale. Una serata infernale: ci sono migliaia di zanzare e le luci le attirano sul palco. A un certo punto io e Lansdale scambiamo qualche battuta, faccio per girarmi verso di lui, e allora vedo: ha la faccia letteralmente coperta di zanzare. Raccapricciante. Non ha battuto ciglio». Enrico Remmert e Luca Ragagnin, autori di Elogio della sbronza consapevole, giunto in pochi mesi alla terza ristampa, sono una fonte inesauribile di aneddoti. Lo «sbronza tour», come lo chiamano, li ha portati in giro per tutta Italia. Solo pochi giorni fa, in un paesino sul Lago D’Iseo, hanno iniziato a leggere i propri versi. Non al pubblico, ma dal pontile davanti a oche e a anatre. «Successo - dicono - assicurato».
Valeria Parrella, altra rivelazione di quest’anno con Per grazia ricevuta, si è ritrovata in un paese sui colli romani che organizzava una serata culturale: «Su un palco eravamo io, la mia pila di libri, una pornostar di Tinto Brass, due giocolieri che facevano cadere continuamente le torce a pochissimi centimetri dai volumi, tutti intervistati da un dj che ci chiedeva di descrivere i nostri libri su tre parole chiave tipo: gioco, sesso e birra».
Da brividi, invece, o meglio «da paura» la storia raccontata da Carlo Lucarelli: «Nel mio romanzo Febbre gialla dovevo inserire una frase in cinese. Non conoscendo gli ideogrammi mi sono affidato agli editor della casa editrice chiedendo una traduzione più vicina al mio pensiero. Il libro è stato pubblicato e tutto sembrava andare per il meglio.

Un anno dopo ero in una scuola media e una bambina cinese a un certo punto alza la mano e mi chiede: ma cosa c’entra la pubblicità dei trattori con la trama del libro? Il mio editor era andato in internet e aveva scaricato la prima frase in cinese che aveva trovato: quella che, appunto, pubblicizzava la forza motrice di un trattore made in China».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica