Mezzo secolo fa l’ultimo «viaggio» del Duce

«Sarei grandemente ingenuo se chiedessi di essere lasciato in pace dopo morto...». Scrivendo in memoria del fratello (Vita di Arnaldo) nel 1932, Benito Mussolini - ormai avviato ai trionfali «anni del consenso» - immaginava, probabilmente con compiacenza, che la sua sepoltura non sarebbe sprofondata nella dimenticanza. Profezia azzeccata. Anche senza ricorrere all’ormai celebre libro di Sergio Luzzatto Il corpo del duce (Einaudi), mai salma di leader politico fu oggetto di tante attenzioni e di tanti e così contrastanti sentimenti. Forse neppure Evita Perón, la bionda «madonna dei descamisados», che condivise con il Duce in anni diversi una segreta sepoltura milanese, riuscì a destare post mortem un tale appassionato interesse.
Ci vollero ben dodici anni dopo Piazzale Loreto perché la famiglia riuscisse a riavere le spoglie sfigurate di Mussolini per poterle seppellire nel cimitero di San Cassiano a Predappio, esaudendo così un auspicio del loro congiunto: «Non ho che un desiderio - scriveva il Duce sempre in Vita di Arnaldo - quello di essere sepolto accanto ai miei nel cimitero di San Cassiano». Raggiunse quella pace solo dopo una serie vorticosa di trasferimenti segreti (un vero giallo ricco di colpi di scena, sequestri, fughe, arresti) nel 1957, esattamente cinquant’anni fa.
Tra il 29 e il 30 agosto 1957 un’auto anonima percorre in due tappe (l’autostrada Milano-Bologna sarebbe stata inaugurata tre anni dopo) il tragitto fra Cerro Maggiore, piccolo paese in provincia di Milano, e Forlì. A bordo viaggia in incognito un alto funzionario di polizia, Vincenzo Agnesina, accompagnato da un frate cappuccino, padre Carlo da Milano al secolo Carlo Varischi. A Forlì si accodano altre quattro auto sulle quali viaggiano il questore di Forli, due medici, Mario Cattabeni e Antonio Cazzaniga (docenti di medicina legale all’Università di Milano), Rachele Mussolini e due suoi nipoti. La seconda automobile del piccolo corteo, una lunga vettura americana targata «Q.C.8112 NY 47», trasporta una cassa piuttosto corta, di legno chiaro avvolta da due bande di lamiera: il «corpo del Duce» sta compiendo l’ultimo viaggio.
Le spy story della salma di Mussolini - dalla prima sepoltura in una fossa anonima nel cimitero di Musocco, a Milano, all’avventuroso rapimento compiuto dal missino Domenico Leccisi fino ai brevi ricoveri nel convento francescano di Sant’Angelo a Milano e nella Certosa di Pavia e alla lunga sosta nel convento cappuccino di Cerro Maggiore - è stata rievocata con cura, dovizia di documenti e riferimenti alla stampa dell’epoca, nel libro di Fabio Bonacina La salma nascosta (edizioni Vaccari, pagg. 192, euro 15), apparso nel 2004 e ora ristampato per il «cinquantenario».
La vicenda è in fondo una storia molto italiana di testarda venerazione verso l’uomo, di ridicolo imbarazzo di governi democristiani timorosi di una destabilizzante révanche fascista.

In mezzo un girotondo di religiosi, dal cardinale Schuster ai frati francescani milanesi padre Egidio Zucca e padre Alberto Parini che vennero pure arrestati. E non manca la solidarietà paesana di Adone Zoli, presidente del consiglio nel 1957, democristiano sì, ma predappiese doc. È l’Italia del campanile alla cui ombra ancora si azzuffano Peppone e Don Camillo.

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