Il questore di Trapani, Carmine Esposito, e il maresciallo dei carabinieri di Salemi, Giovani Teri, sono gli investigatori che hanno firmato dei rapporti di indagine riguardanti presunti «tentativi di condizionamento» che Giuseppe Giammarinaro, ex deputato della Democrazia Cristiana, dal 2007 commissario della Dc nei comuni di Vita, Salemi e Gibellina, avrebbe fatto sull’attività del comune di Salemi. Sono indagini giudiziarie profondamente malate, perché senza alcun riscontro oggettivo si sono elevate maldicenze e chiacchiericcio a ipotesi di reato. Si parla di una mafia che non c’è. O di quella che è stata, come quando si evocano i Salvo tacendo che l’ultimo di loro è morto nel 1983. Non c’è niente di più grave che usare la mafia a sproposito. Non si può trattare la provincia di Trapani in modo discriminatorio rispetto a ogni altra provincia dove la «regia occulta» attribuita a Giammarinaro sarebbe considerata dialettica democratica.
Non si può sostenere che ci sono infiltrazioni mafiose solo perché un assessore parla con Giammarinaro. Non c’è una sola parola, tra l’altro, nessun elemento, nessuna novità dell’inchiesta che non fossero cose note, ma ricostruite in modo suggestivo. Pubblici ufficiali che mentono, però, ne devono rispondere. Un maresciallo dei carabinieri non può inventarsi reati che non esistono. Infanga me, il vice sindaco, i miei collaboratori. Contrariamente alle ricostruzioni investigative che lasciano intendere una supposta volontà di Giammarinaro di «chiedere la testa di Leone» (capo dell’ufficio tecnico), i fatti raccontano il che Leone è stato addirittura promosso a capo settore dei lavori pubblici. Gli investigatori riportano, come uno degli «elementi» che consentirebbe di provare le presunte pressioni di Giammarinaro, la richiesta di indicare come delegato del Comune all’unione dei comuni l’assessore Angelo Calistro, suo cognato, per «la gestione di risorse per la ricorrenza del 150° dell’Unità d’Italia». In realtà ho delegato Nina Grillo.
La questura di Trapani riporta negli atti intercettazioni grottesche. Mi hanno ripreso con una telecamera per stabilire che andavo all’albergo Kempinski a Mazara del Vallo per fare delle riunioni, per dire che incontravo Savalle, che era, semplicemente, il proprietario della struttura. Non occorreva una intercettazione, un pedinamento, un servizio di appostamento per stabilire ciò che era di dominio pubblico. Quello che Tremonti vagheggiava per sé, di essere stato pedinato, spiato e controllato, io lo sono stato per ammissione del questore. Ma la cosa altrettanto grave è che sulla base di questi presupposti, un prefetto di recente nomina, quello di Trapani, ha automaticamente chiesto e ottenuto l’invio a Salemi di una cosiddetta «commissione per l’accesso agli atti» per verificare fantomatiche infiltrazioni mafiose, con l’evidente danno di immagine, al Comune e ai suoi amministratori. O devo credere che il prefetto sia stato tratto in inganno dalle infide relazioni dei carabinieri avallate dal questore?
Giammarinaro, tra l’altro, era il leader di una componente politica che ha vinto le elezioni; dialogare con lui è democrazia. Nei rapporti della questura di Trapani viene continuamente definito «ex sorvegliato speciale»: è la retorica dell’antimafia. C’è un pregiudizio di metodo e di analisi nella sottolineatura di una condizione che non è più tale. Sapete qual è l’influenza mafiosa di Giammarinaro? Intercedere perché i bambini della scuola materna possano fare uno spettacolo al centro Kim da me dedicato a Carmelo Bene e a Pasolini. C’è anche questo nelle indagini di polizia e carabinieri. Questa è misericordia, non mafia.
Ho dato mandato ai miei legali di denunciare alla procura il comandante dei carabinieri di Salemi e il questore di Trapani perché nelle attività di indagine affermano cose false e inventate. Funzionari pubblici non si possono permettere di evocare la mafia su presupposti inesistenti. Io trovo molto più pericolosa l’azione del maresciallo e del questore, di quella delle persone che essi presumono contro l’evidenza dei fatti e della stessa inchiesta, «mafiose».
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