«Mi sono sposata quattro volte solo per compiacere gli uomini»

«Mi sono sposata quattro volte solo per compiacere gli uomini»

RomaOffre il Chinotto Don Abbondio, il suo preferito. Bottiglia vintage. «Me li faccio spedire da Milano, ma mi fanno penare». Patty Pravo, Nicoletta, in origine Nicola, in ogni caso «la Strambelli», come si chiama lei, si siede su uno dei divani bianchi di casa sua, a due passi dal Quirinale. In terrazza, il regno delle sue piante («hanno un nome, parlo sempre con loro») fa un caldo impossibile. «Non ci sono neanche i miei corvi e i miei gabbiani, aspettano il tramonto». Il chinotto e i 3 cellulari («due sono taroccati: più facili da usare») sono gli unici accessori: per il resto Patty Pravo, icona sofisticata, indossa magliettina bianca, jeans a sigaretta neri, All Star color panna ai piedi. «Faccio qualche gorgheggio, al registratore?».
Perché no? Allora non è vero che non si allena mai...
«È vero. Non mi viene».
Mai mai?
«Amo bagni e scale, hanno un’acustica meravigliosa. Per esempio il bagno giallo del mio truccatore è perfetto: mi siedo lì e gorgheggio per ore».
Lì dove, esattamente?
«Be’, sul water, o magari nella vasca. E poi ho fatto un’eccezione per Memè, il mio gatto: quand’era piccolo gli cantavo le ninne nanne. Arie del ’700-800, splendide».
Allora, partiamo dall’inizio. Lei è nata nell’aprile del ’48: un anno, un destino...
«Bellissimo. Non a caso si dice: è successo un quarantotto».
Ed è cresciuta coi nonni, a Venezia. Come mai?
«C’erano dei problemi familiari. Vedevo il papà più spesso, la mamma un po’ meno».
Ora però vi siete riconciliate?
«A cinquant’anni ci siamo ritrovate. La mamma ha le contropalle: ha più di 80 anni e gira ancora con la moto 750».
E com’è stata l’infanzia con i nonni?
«Erano meravigliosi. La nonna riusciva a capire quello che ero: così a 4 anni comprese che dovevo impegnarmi in qualcosa. La musica».
Già da piccola frequentava persone famose: Peggy Guggenheim, per esempio...
«Sì. Ero amica di Paolo Barozzi, che conosceva tutti gli artisti della Biennale. Andavo a casa di Peggy a sentire la musica e a fare i compiti».
E come mai?
«Ho sempre amato la pittura. E poi da lei c’era più fresco. In casa aveva un telefono a gettoni».
Era tirchia?
«Una volta mi regalò un vaso di cetriolini: Venezia ne parlò per due anni. Ma era generosa in altri modi».
E poi ha conosciuto un grande poeta, Ezra Pound...
«Per caso. Passeggiavo dopo la scuola e lui è uscito di casa con la moglie. È stata lei a chiedermi: “Vuole un gelato?”. Lui non parlava assolutamente. Mi ha insegnato il grande piacere del silenzio».
È sempre stata così precoce?
«La nonna mi parlò dell’aborto quando avevo otto anni. Ma a lei riusciva tutto in modo naturale, sapeva sempre trovare il modo giusto».
E che cos’altro le ha insegnato?
«A essere libera. E poi che quando lavori, se non hai disciplina sei fottuto: non basta avere il dono, bisogna faticare».
Sogni?
«Scomparire, prima o poi».
Ha detto che i figli degli artisti sono tutti infelici. Ma lo pensa davvero?
«Una buona parte sicuramente, perché vogliono seguire la professione del padre o della madre e magari non ne hanno il dono. E perché i figli devi seguirli. Poi io sono contraria sia alle tate, sia a chi porta i bebè in camerino».
Ma non ha mai avuto ripensamenti?
«A 16 anni mi sposai con Gordon e volevamo un bambino. Mi immaginavo col pancione e un cappello di paglia, sui prati. Poi a Tokyo gli dissi: “Sai, si può fare, ce lo portiamo dietro e attacchiamo la culla alla batteria”. E allora mi sono resa conto che sarebbe stata la rovina».
E poi basta? Non ci ha più pensato?
«Ci siamo giurati che, nel caso, l’avremmo fatto solo io e lui. Patto rispettato».
A 16 anni era sposata, l’anno prima se n’era già andata da casa. Ribelle per vocazione?
«Sono sempre stata vivacetta. Comunque chiesi il permesso alla nonna di andarmene a Londra. Era morto il nonno, soffrivo. Ma a Londra rimasi un giorno solo: i miei amici dissero che avevano aperto questo locale a Roma, dove suonavano una musica pazzesca».
Il Piper...
«Partimmo col maggiolino. La sera dopo eravamo lì».
Non ha fatto tanta fatica a raggiungere il successo, no?
«Eh no. Ballavamo, eravamo tutti amici. Un signore della Rca, che conoscevo, mi presentò al proprietario del Piper, che mi chiese se sapevo cantare bene come ballavo. Ovviamente dissi sì».
Ha cominciato con una bugia?
«A 15 anni... Quella sera c’erano tutti: Arbore, Boncompagni, Tenco, Visconti. Il successo arrivò così».
Al Piper è nato il suo nome d’arte: Patty Pravo. Da Dante...
«Sì, le anime prave dell’Inferno. Patty lo scelse il proprietario del Piper. Io non ero convinta, ma lui disse: P.P., come B.B. E poi è anche pipì. Alla fine andava bene».
Però non è finita. Nel senso che lei non si chiama neanche Nicoletta ma Nicola, giusto?
«Sì, la nonna ci teneva a darmi quel nome: era il suo figlio preferito, morto giovane. A 16 anni l’ho cambiato in Nicoletta».
Insomma lei come si chiama? Quando telefona, come si presenta?
«La Strambelli. Per esempio stamattina ho lasciato un messaggio nella segreteria di Vasco e gli ho detto: “Ciao, sei sveglio? Sono la Strambelli. In caso non mi avessi riconosciuta dalla voce...”».
Allora la Strambelli quanti mariti ha avuto, quattro o cinque? Circolano voci contrastanti...
«Quattro, quattro. Sull’oroscopo ho letto: arriverà il grande amore. Ancora?»
Non si risposerebbe più?
«E che mi risposo a fare? L’ho fatto solo per fare un piacere ai miei mariti».
La chiamano «la divina». Ci si sente un po’?
«Sul palco sono quello che sono, i fan mi amano per quello. Ma nel quotidiano sono normalissima, anche per strada».
È vero che fa l’autostop?
«Sì, mi capita. O prendo il taxi, dove parlo tantissimo: i tassisti di Roma conoscono la verità».
E per una diva quanto contano i soldi?
«Provo un disprezzo profondo per i soldi. Certo servono, soprattutto per trascorrere una bella vecchiaia».
E il gossip? Passa per una a cui non importa...
«Non mi interessa nulla di quello che dicono. Anche se hanno detto un sacco di bugie».
Però la storia del carcere è vera?
«Sì, certo. Tre giorni, per una canna. È stata un'esperienza bellissima».
Le detenute di Rebibbia che cantavano Ragazzo triste in coro...
«Vorrei una celletta tre giorni al mese, per recuperare il contatto con la realtà. Lì sai tutto di tutti, subito. Lì c’è la verità».
Come sui taxi?
«Eh sì. Una sera ne parlavo con Vasco e Zucchero, per me e Vasco era un’esperienza così positiva, ma Zucchero era sconvolto. Non ci capiva proprio».
Con Vasco vi siete trovati...
«Dice che sono la sua parte femminile. E poi è il più grande. In questo tour canto una sua canzone bellissima, Un senso».
Fra tutti gli artisti suoi amici, chi incorona? Mick Jagger? Keith Richards?
«Mick è più quadrato, regolare».
Mick Jagger sarebbe uno quadrato?
«Ma sì, è tranquillo. Passeggiavamo a Parigi e mi diceva: vedi, non siamo in tournée, non ci fila nessuno. Invece Keith è un bambino».
Sa che l’attrice Violante Placido ha detto: «Sogno di interpretare Patty Pravo»?
«E io dico: fa bene. Mi sembra brava. Dobbiamo credere in qualche giovane, altrimenti... Io ho una sezione sul sito, “scrivi per me”: sono arrivate tantissime proposte. Magari trovassi qualcuno che ha il dono».
I giovani sono una delusione?
«Li seguo tanto. Ma di solito copiano le brutte copie americane e inglesi. Non si fa così. Odio chi non rischia: troppo facile».
E lei ha rischiato? Per esempio quando si è ritirata?
«Negli anni Ottanta ci siamo ritirati in tanti: aspettavamo un giro di boa».
State ancora aspettando?
«Eh già. All’epoca mi chiesero di fare la rapper in America, ma avevo deciso di non cantare».
Ci siamo persi l’Eminem bionda?
«E allora dopo La bambola? Ha venduto 40 milioni di copie. Durante il tour negli Stati Uniti il proprietario della Rca David Sarnoff mi chiese di trasferirmi e far carriera là».
E perché rifiutò?
«Volevano la bella che faceva pop-rock, costruita a tavolino. Ma io non voglio essere come Madonna, che pure è un grande personaggio e una seria professionista, ma che mi frega dell’aereo personale, se poi devo cantare sempre uguale?».
Se non fosse diventata Patty Pravo, che avrebbe fatto?
«Non ci ho mai pensato. Magari a volte mi dico: smetto. Ma come faccio? Sono fregata. Se volessi inventarmi una vita nuova, un ristorantino... non potrei, mi riconoscono».
Una persecuzione.
«Mi rimangono solo i deserti. Li amo moltissimo: sono una beduina».
Non dica che alla fine è idealista...
«Chiaramente sì. E mi piace. Soffro per certe cose, certe situazioni, ma poi ti rendi conto che ognuno ha una missione. E io rendo felici migliaia di persone con la musica. Si può aiutare a distanza: forse andare in quei Paesi è ancora più egoista».
Troppi colleghi pronti a mostrarsi altruisti?
«Un po’ troppi. A casa mi hanno insegnato che si aiuta e non si rompe sbandierandolo ai quattro venti».


Chi sbandiera?
«Quando Pavarotti faceva il “Pavarotti&Friends” pubblicava il resoconto degli aiuti, dovrebbero farlo tutti, anche Bob Geldof e naturalmente i politici».
Qualche rimpianto?
«A che serve?».

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