Voce d'artista

La mia carta di identità è il pregiudizio degli altri

Ognuno si ritrova a fare i conti con la «patente», non si sfugge alla tragica legge di Pirandello

La mia carta di identità è il pregiudizio degli altri

Il giorno della mia maturità classica tra i vari temi ne fu proposto uno nel quale si chiedeva un confronto tra Pirandello, Svevo e Verga. Mi gettai a capofitto in quell’avventura senza nemmeno guardare quali fossero le alternative. Sostenni una teoria precisa, nella quale credo ancora oggi: la differenza tra un artista immortale e un bravo artista è che il primo può essere letto senza tener conto del periodo storico nel quale è vissuto, mentre per saper interpretare gli altri bisogna “contestualizzarli”. Con una certa irriverente petulanza affermai che mentre Svevo e Pirandello, così come Shakespeare o Dostoevskij, parlavano delle eterne pulsioni dell’uomo, dando l’impressione di conoscere l’anima del lettore più del lettore stesso, per studiare il Verga era necessario immettersi mentalmente nella realtà temporale da lui descritta. Insomma, con l’atteggiamento tranchant tipico degli adolescenti, conferivo ai primi due la patente di immortalità, relegando il terzo al ruolo di cantore di un circoscritto periodo storico-geografico.

Ora, arrivato all’età nella quale si rilegge molto e si scopre poco di nuovo, confermo non tanto la mia irriverente diagnosi sul Verga (che comunque continua ad affascinarmi molto relativamente) ma il mio deferente amore per un personaggio come Luigi Pirandello, un autentico fuoriclasse della penna che non ha nulla da invidiare ai più grandi di sempre. La sua impersonalità narrativa è la sua arma micidiale, grazie alla quale ti trasporta dentro a una realtà così onirica da sembrare vera, scattando fotografie che scendono nell’anima, travalicando il verismo per approdare a un naturalismo che gronda filosofia: nel frattempo, con eleganza, insinua le sue precise opinioni che, senza che tu te ne accorga, diventano anche tue. La vita di ogni giorno si trasfigura e ci mostra di quanti paradossi sia intrisa, mentre scorre, cambia e ci cambia, attraverso quel fiume che, come diceva Eraclito, è sempre in movimento, impedendoci di bagnarci sempre nella stessa acqua. Arriva il momento in cui ci rendiamo conto di non essere più come prima, in un continuo gioco di specchi tra noi e gli altri, quelli che, vedendoci dalla loro prospettiva, hanno un’immagine ancora diversa, che finisce per sovrapporsi alla realtà per creare un altro stato di cose: mentre noi cambiamo, cambiano anche gli altri.

Così, alla domanda “chi siamo veramente?” siamo costretti a rispondere “io sono ciò che mi si crede”...

Ognuno ha la sua croce, e anche Luigi Pirandello porta la sua, che ha un nome e cognome, Maria Antonietta Portolano, moglie dello scrittore: una donna fragile che non ha e non può avere la minima influenza o comunione intellettuale col marito si trasforma in un paletto appuntito che si conficca nel suo cuore. Il dissesto finanziario del suocero le causa una depressione che sconfinerà nella follia, devastando la vita di tutta la famiglia: è gelosa in modo ossessivo e immotivato, impedisce il contatto tra il marito e qualsiasi donna, arriva ad ipotizzare una tresca tra Pirandello e la figlia, che tenterà il suicidio schiacciata da quella terribile calunnia. Il ricovero in un istituto psichiatrico sarà l’epilogo di una tragedia che segnerà in maniera indelebile la vita dello scrittore: come solo i grandi sanno fare, lui esorcizzerà quel demone rendendolo protagonista silenzioso delle sue opere, ne farà un motore pulsante, trasformerà il suo dolore in riflessione, filosofia e poesia. Paradossalmente quella donna così dozzinale verrà eletta a musa proprio grazie alla sua devastata e devastante pazzia, che mostrerà a Pirandello gli abissi dell’anima, nei quali lui saprà muoversi con lucidità: l’arte nasce sempre dal tormento!

Per sua e per nostra fortuna, comunque, le sofferenze non lo travolgono, il lavoro è la sua salvezza, la scrittura la sua redenzione: sovrapponendo i sentimenti come solo gli immortali sanno fare, Pirandello sa essere drammatico, ironico, cinico e surreale, esattamente come la vita. Ne La giara sviluppa in maniera sublime l’attaccamento alla “roba” di verghiana memoria, creando un micidiale effetto tragicomico attraverso una meravigliosa e surreale impalcatura narrativa, per la quale nessuno dei protagonisti ha torto e nessuno ha ragione: tra commedia dell’arte e
paradosso si sviluppa una sfida che strappa più di un sorriso.


L'audiolibro de "La giara" non è più disponibile qui. Presto tutti gli audiolibri di Enrico Ruggeri saranno pubblicati assieme e resi disponibili su ilGiornale.

Da oggi puoi ascoltare Ruggeri che legge Kafka


Il pipistrello è un meraviglioso e sottovalutato saggio sul rapporto tra realtà e finzione, nel quale un corpo estraneo, un pipistrello, si inserisce all’interno di una rappresentazione modificandone le dinamiche: se gli attori lo ignorassero creerebbero un effetto inverosimile, se lo tenessero in considerazione dovrebbero modificare le battute, venendo meno al loro dovere professionale! Torna, insomma, l’eterno dualismo pirandelliano tra realtà e finzione, esasperato e perciò ancor più tangibile.

L'audiolibro de "Il pipistrello" non è più disponibile qui. Presto tutti gli audiolibri di Enrico Ruggeri saranno pubblicati assieme e resi disponibili su ilGiornale.

Da oggi puoi ascoltare Ruggeri che legge Kafka


Ma è ne La patente che emerge ancora di più la statura dello scrittore, che rimane in bilico tra la tragedia e la commedia, tra la pietas e l’ironia, riuscendo a dosare gli ingredienti con la perizia di un alchimista che sa come e dove spingersi. Gli intrecci tra gli uomini sono condizionati dal pregiudizio, dai preconcetti, mentre le apparenze sovrastano la sostanza e la percezione dell’anima. La tragica maschera del Chiarchiaro, che vede come extrema ratio la certificazione delle sue proprietà di iettatore è un terribile atto di accusa nei confronti di tutta l’umanità, così superficiale e approssimativa, di un mondo nel quale la cattiveria viene applicata con disarmante naturalezza.


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Da oggi puoi ascoltare Ruggeri che legge Kafka

“Io sono ciò che mi si crede” dicevamo prima: ma tutto è filtrato attraverso le piccole umane miserie, fino ad arrivare ad un “io sono ciò che arbitrariamente mi è stato attribuito”.

Sembra scritto ieri: in fondo, nel mio tema, avevo ragione.

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