La mia ricetta per restare vivo a 97 anni

Dopo due mesi d'ospedale per operazioni chirurgiche causate da una frattura, torno a casa per la rieducazione e gli amici mi chiedono il segreto per restare lucido alla mia età. Melo domando anch'io. Talora ne parlo al noto biochimico ungherese stabilitosi anche lui a Parigi, Làszlo Robert, come me membro corrispondente dell'Accademia ungherese delle scienze, autore di varie opere sul funzionamento del cervello, prima causa di longevità. L'hanno studiata filosofi greci e alchimisti europei. La scienza dei Romani ne aveva scoperto alcuni segreti. Montaigne e Rousseau hanno colto gli effetti dell'educazione: scolarizzazione elevata, alimentazione sobria, esercizio fisico, ritmi regolari, condotta tranquilla e alacre, riposo, aria buona, distrazioni. Criteri ai quali vanno aggiunte vita sentimentale e vita domestica normali. I filosofi francesi hanno sottolineato l'importanza di un'infanzia calma e pacifica, amorevole. A ciò unirei buoni rapporti con gli insegnanti. Nel mio caso mi sono giovato dell'ottima scuola elementare della comunità ebraica, frequentata più da allievi cristiani che ebrei; vi si insegnava infatti, oltre all'ungherese, il tedesco. Ho perso mia madre a cinque anni e quel dolore m'ha seguito per la vita. Nonostante le sofferenze condivise con gli adulti, imposte da Grande guerra, rivoluzione e controrivoluzione, posso però dire d'aver avuto un'infanzia felice. A condurmi ai novantasette anni ha contribuito l'eredità biologica, sia da parte di madre, sia da parte di padre. A settantatre anni lui è stato spinto su un vagone diretto ad Auschwitz, come tutti i componenti della mia famiglia paterna. Su questi eventi, segnalo un difetto imperdonabile, condiviso con mia moglie nei sessantasette anni in comune: l'incapacità d'odiare, nemici inclusi. Mi sono mantenuto in un fondamentale ottimismo, perfino ai tempi delle prove peggiori, dall'inesausta curiosità per le persone e la storia. Ho imparato molto nel giornale diretto da mio padre durante la Grande guerra, che seguivo sull'atlante del suo ufficio. Ne ho dedotto che in chiunque ci sia un po' di buona volontà e sincerità. Sono sempre stato curioso di ciò che mi accadeva intorno oppure lontano, di intuire, negli eventi presenti, l'avvenire; e di rivivere i ricordi. Così, dopo l'università e la prigione per le mie idee progressiste, sono diventato prima critico letterario, poi storico, infine giornalista. Da adolescente, una sorta d'eredità profetica m'ha stimolato a immaginare il domani. Ho appena letto con gioia su una rivista scientifica che gruppi di lavoro negli atenei americani ritengono che viva di più chi studia di più. E io, che non ho mai smesso d'apprendere, resto lo studente che ero quando, dopo l'esame di maturità, ho vinto il concorso nazionale con un saggio sulla filosofia della vita, commentando una delle più profonde poesie di un grande e romantico ungherese di metà '800... Dalle ricerche accademiche americane scopro che scienziati ed artisti possono campare più d'un borghese o un operaio. La conclusione degli universitari è che mantenere attivi cervello e cuore siano le prime cause di longevità. È bello aver l'età nella quale non si teme più la morte, pur temendo il dolore, e si capisce com'è difficile per l'umanità concepire di sopravvivere alla fine dell'attività cerebrale, se il cuore non batte più.

(Traduzione di Maurizio Cabona)

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