«Q uattro uomini della mia età, in Cile, che si ritrovano per un'ultima avventura. Una coppia di poliziotti, il vecchio ispettore e la sua giovane assistente, alla ricerca di uno di loro. Il romanzo è il racconto di una giornata che si trasforma nella ricostruzione di un'epoca, un'epoca che si conosce pochissimo: gli ultimi cinquant'anni di vita del mio paese». Così Lùis Sepulveda ci ha riassunto il suo ultimo romanzo, uscito pochi giorni fa in Italia, L'ombra di quel che eravamo (Guanda), che presentrà questa sera allo Spazio Oberdan (viale Vittorio Veneto 2, ore 18) insieme a Bruno Arpaia. Fuggito dal Cile nel 1973 dopo il golpe di Pinochet, attivista di Greenpeace, lo scrittore vive in Spagna. In occasione dei sessant'anni che lo scrittore cileno compirà in ottobre, inoltre, l'Istituto Cervantes inaugura sempre questa sera (via Dante 12, ore 20) una mostra fotografica di sui ritratti firmati da Daniel Mordzinski. Abbiamo chiesto all'autore noto in tutto il mondo per due capolavori Il vecchio che leggeva romanzi d'amore e Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, con quale animo festeggia un compleanno così importante.
«Non ci voglio pensare. Non mi sento ancora un elefante che va verso il suo cimitero. Tutta la mia vita è stata sempre piena di memoria, perché ho avuto la fortuna di essere nato nel secolo scorso e di essere stato testimone di tante cose importanti».
La sua vita è ancora piena di emozioni?
«Certamente non sono Indiana Jones, ma è piena di movimento. Perché sono un uomo curioso»
Qual è stata la sua ultima avventura?
«In questi anni ho fatto un lungo ritorno al nord del Cile. Visitare i luoghi dove sono nato è stato un viaggio sentimentale riconfortante, una vera avventura che dopo trent'anni di assenza mi ha dato nuovi stimoli per scrivere».
Ad esempio il suo ultimo libro, che suona come un romanzo generazionale.
«È un libro sulla gente comune. Su quattro uomini che hanno avuto una vita intensa (si tratta di quattro ex militanti di sinistra che hanno fatto parte della guardia personale di Allende, ndr) e che però non sono stati "in prima fila"».
L'eroismo nascosto sembra affascinare molto gli scrittori.
«Semplicemente trovo più interessante la vita di uno che per tutto il giorno costruisce la sua piccola epopea, che arriva alla fine del mese con coraggio che la vita di Noemi, tanto per fare un esempio».
Eppure lei è una persona famosa. In tutto il mondo. Come vive questa contraddizione?
«Io mi sento normale».
Ma gli altri la guardano come una celebrità.
«Sono famoso ovunque, tradotto in sessanta lingue, è innegabile che occupi un posto più rilevante di altri, ma rimango fedele alla mia cultura. Quando mi siedo a tavola con gli amici a bere un bicchiere di vino sono quello di sempre».
In copertina del romanzo c'è un'ombra. Richiama il nome di uno dei protagonisti, ma somiglia tanto all'ombra del Che.
«L'ombra del Che è presente in tanti aspetti della storia dell'America Latina. Per i giovani cileni la sua morte è stata la chiave di un cambiamento più grande cui la vecchia dirigenza di sinistra non ha mai dato risposta coerente».
Oggi il Cile a che punto è?
«Siamo in lento recupero. Il governo Bachelet è il migliore che abbiamo avuto dopo la dittatura, l'unico che abbia aperto alla piena normalità democratica. Sono un partigiano della gestione di questo presidente».
La ferita della dittatura è ancora presente?
«Non siamo da psicoanalisi, il Cile non è un paese traumatizzato. Ma siamo in costante attesa della giustizia per tutti i crimini. Chi ha avuto un parente scomparso però, non guarirà mai».
Nella sua biografia su Wikipedia viene definito "anarchico".
«L'antico movimento anarchico non esiste più, non ci sono più i vecchi utopisti, né lo spirito di Tolstoj. Esiste però quella eredità culturale, cui sono grato. E poi ci sono due o tre punk che si dicono "anarchici"...».
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