«La mia unica certezza

Dopo dodici anni Stefano Accorsi torna in teatro. E lo fa con «Il dubbio», lo spettacolo scritto da John Patrick Shanley (Premio Pulitzer 2005) per la regia di Sergio Castellitto, che dal 4 marzo sarà al Teatro Manzoni.
Lasciati alle spalle ultimi baci e fate ignoranti, l'attore emiliano riparte dagli esordi, da quel lontano 1996 quando, venticinquenne di belle speranze, andava in giro per l'Italia per presentare al pubblico il suo «Naja» di Angelo Longoni, l'ultimo lavoro teatrale prima di lanciarsi nel cinema. E oggi si presenta di nuovo a quel pubblico, ma con un atteggiamento nuovo, più sicuro, consapevole. Cresciuto.
Ed ecco che, abbandonati i panni da sex symbol, lo ritroviamo in quelli più sobri, ma non meno impegnativi, di un giovane e moderno prete del Bronx travolto in uno scandalo di pedofilia.
Siamo nel 1964, a un anno dalla morte di Kennedy, in un'America post-conciliare che ha perduto padri e certezze. È questo il senso di un testo scritto, non a caso, nel 2002, un anno dopo la tragedia delle Torri Gemelle. Pietra dello scandalo, l'affascinante padre Flynn, accusato dalla direttrice della scuola Suor Aloisa (Lucilla Morlacchi) di aver abusato sessualmente di un allievo dodicenne di colore.
Stefano Accorsi, dopo anni trascorsi tra un set e l’altro, cosa l'ha spinta a tornare in teatro?
«Da tempo desideravo tornare sul palco, anche perché secondo me è importante per un attore alternare cinema e teatro. Aspettavo solo l’occasione giusta. Poi due anni fa a Parigi ho visto Il dubbio diretto da Roman Polanski. È un testo contemporaneo e attuale che mi ha colpito per la capacità di coinvolgere gli spettatori e spiazzarli. Così, ho chiesto l'opzione sui diritti».
Per il suo ritorno ha scelto un tema scottante: la pedofilia negli ambienti ecclesiastici...
«La pedofilia è un tema centrale, ma non l’unico. È semplicemente uno spunto per sollevare altre questioni, come l’intolleranza, il sospetto, i pregiudizi. L'autore non prende una posizione netta, ma indirettamente fa le sue accuse a una società che molto spesso preferisce “nascondere” piuttosto che andare a fondo».
È stato difficile calarsi nella parte?
«È stato difficile rimanere nell'ambiguità, non far capire se padre Flynn è davvero colpevole o innocente. La forza del dramma, infatti, è proprio nel lasciare irrisolto il dubbio, costringendo lo spettatore a farsi una sua idea e, soprattutto, a mettersi in discussione».
Che rapporto ha con la fede?
«Non credo in Dio. Credo piuttosto alla “magia delle cose”, a un certo modo di porsi nei confronti del mondo».
Come si è trovato a lavorare con Castellitto?
«Sergio per me è stata una rivelazione. È un regista che ama molto i suoi attori e che conosce perfettamente il mezzo. Partendo da una scenografia minimalista (poche scene e solo quattro personaggi), è riuscito a dare una sua impronta al testo rendendolo “teatrale”».
Laetitia Casta è già venuta in platea ad applaudirla?
«Sì l'ha visto e le è piaciuto molto. Ho in uscita un film con lei a Parigi, La jeune fille et les loups, sulla prima veterinaria francese».
Prossimo progetti?
«In programma ci sono un film in Italia e uno in Francia, oltre alla ripresa della tournée dopo l’estate».


Tornerà in teatro dopo questa esperienza?
«Certamente. Per me il teatro è stata una riscoperta. Penso a un altro testo contemporaneo, che faccia anche riflettere. Questo amo del teatro: la capacità di far riflettere».

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