«La mia vita con Beuys l’artista della Natura»

A proposito di maestri della creatività e di alberi da piantare, c’era un artista che, tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, ha piantumato un bel po’. L’artista in questione era il tedesco Joseph Beuys, uno dei maggiori interpreti dell’arte concettuale che, sulla «Difesa della natura», costruì gran parte della propria poetica fino a fondare il movimento dei Verdi, che abbandonò quando divenne un partito politico. Tra le sue storiche performance, in cui era solito coinvolgere intere comunità, i libri d’arte ricordano la «Piantagione Paradise» a Bolognano in Abruzzo, una simbolica quercia a cui ne seguirono 7000 nella tedesca Kassel come simbolo della difesa dell’uomo, della creatività e dei valori umani. La tenuta abruzzese teatro dell’iniziativa era di proprietà della baronessa Lucrezia De Domizio Durini e del marito Buby, mecenati milanesi che ospitarono l’artista negli ultimi 15 anni di vita, durante i quali produsse alcune tra le sue opere più importanti. Oggi la De Domizio, che dalla morte dell’artista avvenuta nel gennaio del 1986 tiene conferenze in tutto il mondo e ha ideato il «giardino beuysiano» come omaggio al pensiero antropologico del maestro, si inserisce a suo modo nel dibattito Moratti-Piano e lancia un invito al sindaco: piantare alberi e arbusti in città come sinonimo dell’abbraccio dell’uomo con la natura attraverso l’arte. Un’operazione simile a quella svolta lo scorso anno durante una mostra su Beuys da lei curata a Rocca Brivio e che vide la piantumazione di 70 querce a cui, secondo il progetto, ne seguiranno altre 6.930 sulle orme della performance di Kassel.
Baronessa, l’anima di Beuys potrebbe riuscire dove (forse) sta fallendo il progetto Piano?
«Magari. Io sono sempre stata pronta nel pubblico e nel privato a diffondere l'eco di Beuys e lasciare un segnale stabile in qualunque parte del mondo, missione lasciatami in eredità dal Maestro tedesco. Sarei felicissima se il sindaco Moratti, conoscendo l’opera e il pensiero di Beuys, volesse iscrivere il suo nome e la città di Milano nella storia dell’arte contemporanea...»
Due piccioni con una fava, insomma. Ma cosa c’entrano gli alberi con l’arte?
«È un concetto fondamentale della “Difesa della natura“ lanciato da colui che fu uno dei più emblematici e significativi personaggi dell’arte mondiale e che dà vita al mio progetto di “giardino beuysiano“. Alberi e arbusti avevano per l’artista un valore quasi alchemico: il Rosmarino come simbolo di energia, l’Alloro della grandiosità della cultura, l’Olivo simbolo di pace e di produttività, la Quercia di costanza, forza e longevità. Nel mio progetto sul “Giardino di Beuys“ vi è anche una lettura molto profonda delle due grandi opere dell’artista fondate sulla vita vegetale: le 7000 Querce di Kassel e “Olivestone“, ultima grandiosa opera di Joseph Beuys donata alla Kunsthaus di Zurigo nel 1992 da me e mio marito Buby Durini».
Come nacque la vostra lunga amicizia con l’artista tedesco?
«Era il 1971 e la scintilla scoccò dopo che lessi un’intervista su una nota rivista d’arte in cui Beuys parlava di “democrazia diretta“ e del fatto che tutti gli uomini sono artisti. Affascinata, decisi di scrivergli e iniziò un carteggio che portò al nostro incontro il 13 novembre di quell’anno nella galleria del grande mercante napoletano Lucio Amelio. Ci rivedemmo casualmente a Capri e Beuys, con il suo inseparabile cappello di feltro, ci invitò a Düsseldorf. Dopo una settimana ci arrivò a casa un pacco, che conteneva due grandi libri con i suoi timbri e una speciale dedica per me e Buby. Così partimmo per la Germania carichi di prodotti della nostra azienda agricola e da allora mi sento ancora in quel traghetto che mi porta in giro per il mondo a divulgare la filosofia beuysiana che parla dell’arte in rapporto al suo valore spirituale e sociale...».
Nella vostra tenuta in Abruzzo, Beuys aveva uno studio tutto per sè. Dopo la morte dell’artista, siete tornati a Milano e da qui è iniziata la sua opera divulgatrice...
«Per me Milano è sempre stata la base da cui diffondere il suo pensiero e per questa missione ho usato tutti i mezzi, da pubblicazioni, a stage all'Accademia di Brera, dalla creazione della mia rivista Risk Arte, e ancora mostre alla Triennale e nei Musei internazionali. Il mio loft di via Mecenate divenne famoso e pubblicato dalle maggiori riviste europee, una vera fucina d'incontri con artisti, studenti, intellettuali di ogni disciplina italiani e stranieri. A Milano si fortificò la stretta collaborazione e la profonda amicizia con il grande critico svizzero Harald Szeemanann e ricordo ancora le serate bevendo whisky con Pierre Restany, il padre del Nouveau Realisme».
E oggi, quali progetti sta portando?
«Dopo la tragica scomparsa nell'Oceano indiano di mio marito il giorno di Natale del ’94, l’arte è rimasta la mia unica ragione di vita, di cui Beuys è la voce primaria. Oltre ai Giardini, organizzo progetti come la mostra collaterale all’ultima Biennale veneziana intitolata “Is it possible? Nature and Economy Together?“ cioè un focus sul rapporto tra Natura ed Economia.

E ancora sto portando avanti il progetto “The creative Rooms“ alla Certosa di Venezia, ovvero la creazione di 18 stanze d’albergo da parte di 18 artisti di diverse nazionalità, ricerca e generazione. Beuys apprezzerebbe».

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