Cultura e Spettacoli

Mick Jagger, le rughe più belle della storia del rock

Inaugurata a Roma una mostra fotografica dedicata al leader dei Rolling Stones. Settanta scatti che raccontano non soltanto la carriera di una stella del pop ma anche l'evoluzione del gusto degli stessi fotografi

Mick Jagger, le rughe più belle della storia del rock

Gli occhi grandi, il corpo asciutto e flessuoso, i capelli folti sulle spalle ma soprattutto quell'inconfondibile taglio delle labbra che nel tempo è divenuto un simbolo, quasi un'icona indipendente dal suo «proprietario». Dettagli unici di una leggenda pop che risponde al nome di Mick Jagger. Elementi che ancor oggi rimangono incancellabili e immutabili non soltanto grazie al suo stesso lavoro di musicista e di showman ma anche al fatto di essere stato nel corso dei lustri un «modello» quanto mai appetibile per fotografi e per i cosiddetti «fashion maker».
Ecco perché i tratti inimitabili del frontman dei Rolling Stones possono essere facilmente riconosciuti anche se un fotografo come Albert Watson lo trasforma in leopardo, o il regista Anton Corbjin lo immortala en travesti da donna o mentre una maschera woodo simulando una danza tribale.
Eccoli, allora, cinquant'anni da divo del rock e del jet set, scorrere veloci nella mostra «Mick Jagger. The Photobook», aperta nel foyer dell'Auditorium Parco della Musica, dove rimarrà fino al 27 marzo.
Protagonisti dell'esposizione, che costeggia il lungo corridoio dove si affacciano le tre sale del Parco della Musica, settanta ritratti firmati da illustri maestri dell'obiettivo. Settanta immagini che colgono ogni momento del Jagger personaggio pubblico, dagli esordi della carriera ad oggi, e che scandagliano l'esuberanza estetica di un'indiscutibile star.
«Non è solo una mostra su una rockstar amatissima - spiega Carlo Fuortes, amministratore delegato della fondazione Musica per Roma - ma è anche una mostra sul ritratto fotografico. Lui è un'icona pop, un fenomeno di costume e i più grandi fotografi si misurano con un soggetto così forte e complesso. E in ogni situazione lui riesce ad essere un'icona». Dalle sperimentazioni di Cecil Beaton ai giochi glamour di Karl Lagerfeld, alle acute pose di Annie Leibovitz, fino agli scatti di colleghi prestati all'arte fotografica come il canadese Bryan Adams. «Nell'organizzare questa mostra, Mick Jagger si è rivelato una persona che è riuscita a gestire benissimo la sua immagine, accettando con curiosità una selezione delle sue immagini senza interferire sulla scelta - racconta Alessandra Mauro, dell'agenzia fotografica Contrasto cui si deve la realizzazione dell'esposizione -. L'idea è di mostrare l'impatto storico che la sua immagine ha avuto e il gioco che è riuscito a instaurare con i fotografi. Jagger è un personaggio che ancora oggi non smette di essere forte, diabolico e intrigante». Per esempio, è stata Annie Leitbovits a proporre anche una foto singolare del braccio di Jagger dove è evidente la cicatrice di una ferita, reduce dal suo periodo di eccessi. «Racconta tutta l'angoscia che Mick Jagger aveva nel vedere il suo corpo ferito - aggiunge Mauro -. Fu lui che le chiese di fotografare il polso come memoria di quel momento». Presente all'inaugurazione anche uno dei fotografi: Simone Cechetti, che ha immortalato Jagger e gli altri Rolling Stones nel 2007 a Milano: «Mi chiamarono dicendomi: "hai cinque minuti con gli Stones". Lui si è rivelato disponibile, tranquillo, rilassato, non cercava la posa - ricorda Cecchetti -. Nel chiacchierare ho colto l'attimo. Ne uscì una cosa particolare. Con un primo piano a colori dove tutto risalta.

Sono rimasto sorpreso che si sia lasciato fotografare così da vicino».

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