La middle-class infelice di James Salter

Gian Paolo Serino

Considerato «un maestro» da Richard Ford, amato da Philip Roth, Julian Barnes e Bret Easton Ellis, tra i molti, James Salter è senza dubbio «l'ultimo grande scrittore letterario americano», come lo ha battezzato il New York Times lo scorso anno quando Salter morì novantenne. Pressoché sconosciuto in Italia (dove il suo romanzo Un gioco e un passatempo era stato pubblicato come una meteora da Rizzoli nel 2006), Salter deve da noi il suo successo alla casa editrice Guanda e alla caparbietà del suo direttore Luigi Brioschi, da sempre convinto che «Salter rappresenti, al meglio, una idea di letteratura, di narrativa letteraria che forse va tramontando perché porta in sé un valore testimoniale». Ed è proprio questa «idea di letteratura» a rendere James Salter un classico, uno scrittore raro, capace di raccontare, nella tradizione dei migliori ritrattisti della (dis)umanità della middle-class (da John Cheever a Richard Yates) quei ghetti di apparente benessere che troppo spesso chiamiamo felicità. Si tratta, invece, di una pacata (p)resa di coscienza che forse nulla può cambiare se non la bellezza e il suo ricordo. Ed è proprio alla bellezza femminile, con ambiguità quasi vicine all'idea di donna messa in versi da Baudelaire, che è dedicata L'ultima notte, raccolta di dieci racconti usciti per Guanda (nella traduzione di Katia Bagnoli, pagg. 176, euro 15). Malgrado Salter sia scrittore che ha dato il meglio nella prosa lunga - si leggano Tutto quel che è la vita e Una perfetta felicità su tutti questi racconti, vincitori tra l'altro del prestigioso Pen/Malamud Award, possono essere il viatico perfetto per chi non conosce Salter, o dei piccoli gioielli per chi ne è estimatore. In special modo La rinuncia e soprattutto L'ultima notte (racconto che chiude la raccolta) sono autentici piccoli capolavori, in cui meglio si percepisce il lavoro di cesellatura che lo scrittore impiega per ogni singola frase. Certo non sono prose dove troverete felicità a ogni pagina: sono racconti come la vita.

Con quei piccoli o grandi drammi che ci accompagnano ogni giorno, con quelle passioni capaci di divorarci o di dimenticarci al voltar di un giorno, desideri inespressi o consumati sino al midollo, rapporti tra uomini o donne «di inestimabile valore ma, come tutti, destinati a languire». L'importante è non scoraggiarsi: perché Salter, davanti allo specchio di carta dei nostri io, ci regala la possibilità di rispecchiarci senza deformarci. Il che è raro.

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