Prima Ibrahimovic e adesso Luis Fabiano, Caceres l’ultimo della lista, più Camoranesi a suo tempo, e Joe Cole appena lasciato libero dal Chelsea. Sono alcuni dei nomi abbinati di recente al Milan dalle cronache del calcio-mercato. In qualche caso rappresentano la volontà dell’interessato (per esempio lo svedesone del Barcellona indigesto a Guardiola), in qualche altro la fantasia dei cronisti costretti a redigere «pastoni» quotidiani da 100 e passa righe. E invece il Milan è fermo, addirittura prigioniero della sua linea del Piave preparata da Galliani e Braida e condivisa dall’azionista Berlusconi: è possibile procedere a qualche nuovo arrivo solo in caso di una partenza al fine di non alterare le dimensioni numeriche e finanziarie del gruppo rossonero.
Che il Milan sia disposto a cedere e a far cassa, lo dimostra il caso Storari. Poteva tranquillamente confermarlo nel ruolo di titolare «ex aequo» con Abbiati e invece appena si è presentata allo sportello la Juventus offrendo la somma di 5 milioni (con relativa plusvalenza da realizzare sul bilancio) ha ceduto al volo il portiere dirottandolo a Torino, nell’attesa che guarisca Buffon. Altre sono le proposte allettanti giunte sul tavolo di Galliani: riguardano in gran parte i pochi incedibili della compagnia, cioè Pato e Thiago Silva in particolare, richieste anche indecenti in qualche caso, e poi Ronaldinho, inserito nell’elenco dei big da conservare in omaggio agli impegni presi con il pubblico dei tifosi, «nessun acquisto importante ma nessuna cessione famosa». Ma fin qui siamo alla parte piacevole del lavoro di Galliani. I dolori di pancia cominciano col resto della compagnia.
I dirigenti rossoneri hanno provato infatti a concludere trattative complicate per trovare acquirenti interessati a Oddo, Kaladze, Jankulovski e Huntelaar riuscendo sempre nell’impresa ma scontrandosi, puntualmente, con il no degli interessati. Nel calcio-mercato, il rifiuto al trasferimento proposto da una società ad un suo tesserato, è diventato un banale refrain. Se ne contano, in ogni sessione, centinaia che non lasciano il segno. Siamo stati abituati a leggere, in materia, ogni sorta di motivazione: dalle più autentiche per opporre un no («c’è un’altra squadra che mi paga di più») alle più stravaganti per motivare un sì («vado a Londra affinché i miei figli possano studiare l'inglese» la trovata di Shevchenko prima di correre incontro al Chelsea). Mai era però capitato che un calciatore si presentasse in sede e spiegasse così il proprio rifiuto: «Non accetto il trasferimento per la politica». È questo il ragionamento fatto da Kakha Kaladze, georgiano di 32 anni, reduce da una stagione scandita da qualche acciacco e da molte incomprensioni con Leonardo. «Mi dispiace ma da Milanello non mi muovo: concluso il mio contratto, rientrerò a Tiblisi ed entrerò in politica. E voglio farlo avendo avuto sulle spalle la maglia del Milan, non altre» la spiegazione nel dettaglio fornita dal georgiano che ha già intrapreso dalle sue parti attività imprenditoriali e fu protagonista della telefonata al presidente Berlusconi per reclamare l'intervento presso Putin all'epoca della tentata invasione dei russi entrati in Georgia.
I due trasferimenti proposti a Kaladze sono stati in sequenza Parma e Galatasaray, club storico espressione della borghesia della capitale turca allenato dall'ex stella olandese Frank Rijkaard. Il no di Kaladze, aggiunto a quello di Jankulovski e Oddo è stato adottato anche da Huntelaar, il cui agente ha ricordato al club berlusconiano che «un centravanti che ha giocato con Ajax, Real Madrid e Milan cambia solo per un altro club di livello».
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