Un romano visceralmente legato ai colori giallorossi, ma più milanese dal punto di vista del lavoro.A tratti maniacale. E da quando è arrivato allInter la scorsa estate ha dovuto rinunciare - lo prevedono le regole interne - al suo cappelletto con visiera, la sua «coperta di Linus» in panchina.
Ecco lidentikit di Andrea Stramaccioni, 36 anni, uninfanzia trascorsa tra la Tuscolana e San Giovanni, quartiere storico della Capitale dove nasce il campione Francesco Totti. Inevitabile che il giovane Andrea diventasse tifoso della Roma: da piccolo ammirava Bruno Conti, che poi diventerà il suo padre calcistico a Trigoria, tante le domeniche trascorse in curva. Difficile pensarlo lontano da Roma e invece è successo nel luglio scorso, poco dopo il suo matrimonio a Bracciano con Dalila. La strada chiusa alla guida della Primavera giallorossa dallaltrettanto bravo Alberto De Rossi (con il quale non ha mai avuto un rapporto idilliaco) e un anno prima lincontro a Coverciano con Roberto Samaden, futuro responsabile del settore giovanile dellInter che lo consigliò a Moratti, lo convinsero a cambiare aria.
«Non sarà un traghettatore, ci auguriamo che inizi un grande ciclo», così lad nerazzurro Ernesto Paolillo, uno dei suoi principali sponsor. Un entusiasmo che fa da contraltare alla «freddezza» di Trigoria, dove largomento Stramaccioni sembra tabù. Eppure Stramaccioni era entrato nella rosa dei candidati alla successione di Ranieri - scherzo del destino - ma poi il club scelse Montella. Inevitabile che il rapporto fosse al capolinea, anche perchè le sirene interiste cominciavano a essere più forti. E lalter ego De Rossi senior rifiutò lofferta di fare il responsabile del settore giovanile e degli osservatori giallorossi. Sbarrando definitivamente il percorso alla Roma del lanciatissimo Andrea.
Il destino lo tolse subito dal calcio giocato, colpa di un grave infortunio al ginocchio ai tempi del Bologna. Il bravo centrale difensivo provò così a reinventarsi allenatore, perchè il calcio doveva essere la sua professione. Nonostante gli piacesse il diritto, tanto da prendersi più avanti una laurea in legge: tesi sulla gestione aziendale della Roma di Sensi. Il «predestinato» iniziò allAz Sport (oggi Spes) Montesacro dove vinse subito il campionato provinciale. Tre anni alla Romulea, società affiliata alla Lazio: con i Giovanissimi vinse il campionato regionale e poi alle finali nazionali battè lAldini, società satellite del Milan.
Bruno Conti, proprio uno dei suoi idoli, lo porta alla Roma. Dove ci sono i successi e si affina la sua tecnica di allenatore: Spalletti e il 4-2-3-1 diventano un modello di gioco, che solo nella fase finale di un campionato allievi, vinto contro la Juve, trasforma in un più spregiudicato 4-3-3. Negli ultimi anni di Roma è una vera macchina: al mattino praticantato in uno studio legale, nel pomeriggio allenamenti, la sera dedicata allo studio di cassette e dvd degli avversari. «A volte ci faceva ripetere i corner e le azioni da calci piazzati 100 volte», rivelavano alcuni suoi giocatori. Aveva creato una trentina di schemi. E addirittura chiedeva le misure dei campi delle squadre giovanissimi e allievi dove andava a giocare, poi in allenamento le riproduceva sui campi di Trigoria. Nelle riunioni tecniche spiegava a ciascun calciatore caratteristiche e trucchi dellavversario che avrebbero affrontato. Tutto grazie a un suo collaboratore che filmava di nascosto le partite che lui poi studiava.
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