Milano è il centro del terrore islamico

RETE Secondo la Procura l’obiettivo era garantire libertà di movimento internazionale ai militanti

Di nuovo Milano al centro della rete del terrore. Stavolta nelle indagini il capoluogo lombardo non emerge come bersaglio di attentati ma come centro nevralgico di una rete internazionale fatta di militanza islamica, affari sporchi, passaggi di quattrini verso destinazioni e utilizzi ignoti. L’indagine del Gico - il reparto speciale della Guardia di finanza - che culmina ieri in 17 ordini di cattura in mezza Europa racconta una volta di più che Milano ha un ruolo tutt’altro che periferico nella geografia della jihad. E che ancora una volta gli uomini accusati di lavorare per il terrorismo hanno contatti e frequentazioni con la faccia pulita e ufficiale dell’islamismo, la moschea di viale Jenner, dove più di un bersaglio di questa indagine è stato visto recarsi, pregare, dialogare. Come Mohamed Game, l’attentatore della Perrucchetti del 12 ottobre.
Stando al testo dell’ordinanza di custodia, l’associazione a delinquere colpita dalla retata di ieri era finalizzata solo alla produzione di documenti falsi. In effetti, l’attività di contraffazione era ramificata in modo impressionante, con una macchina per la produzione di alias sparsa in Francia, Inghilterra, in Spagna, e con il trucco di utilizzare come nomi di copertura quelli dei pochi arabi quasi immuni dai sospetti in Europa: i calciatori di origine maghrebina che militano nei campionati del Vecchio Continente, e i cui nomi sono finiti su decine di passaporti falsi. Ma una simile fabbrica di documenti falsi non è spiegabile, secondo la Procura, solo con l’attività criminale del gruppo emersa finora: furti in appartamento, scippi, piccole truffe. Dietro, dice la richiesta di arresto firmata dal pm Luigi Orsi, c’è la necessità di garantire libertà di movimento internazionale agli esponenti della jihad. Come Abderrahmane Tahiri, capo della cellula terrorista che nell’ottobre 2004 aveva pianificato l’attentato alla Procura generale di Madrid, o come Hassan Hamzaoui, indicato in Svizzera come il tesoriere di una banda estremista: tutti e due, rivela l’inchiesta milanese, erano in contatto con Smail Benantar, l’algerino trentatreenne catturato ieri a Bergamo e considerato l’uomo di punta dell’organizzazione.


E non basta: a ritirare i documenti falsi presso la casella postale aperta dall’organizzazione in un ufficio delle Pt a Bergamo non è un personaggio qualunque ma Saber Lassassi, uno che sta nella «lista nera» dell’Unione Europea dei terroristi più pericolosi, e che se ne andava anche lui a zonzo per la Lombardia sotto falso nome. Anche lui, raccontano le indagini del Gico, era in contatto con alcuni correligionari che nella moschea di viale Jenner erano presenze non sporadiche.

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