Ve la immaginate Anita Ekberg nel biondo plenilunio di una dolce vita uscire dalla vasca davanti al Castello Sforzesco? Li sentite gli zampilli della stessa fontana danzare al ritmo della musica di Mozart? Gli elefantini in cartapesta stanno a dovuta distanza, circospetti davanti alla rotonda modello tenda da circo, che in mezzo al laghetto non scompare nemmeno per una goccia nel suo gonfiore di torta uscita dalla formella di una nonna garibaldina. Ma Anita no, non ancheggia lì, senza una cascata, senza labbondanza che dovrebbe avere lacqua in quanto simbolo venusiano della femminilità.
Va bene, Milano non è la capitale, non è Versailles, ma è una bellezza che si merita fonti degne di tal nome. Ovvero: un monumento che esalti la sinuosità, il gioco, il suono, lumorismo, un misto di umoralità e dinamismo, la forza, la mutevolezza, lostinazione, laudacia, la timidezza del mare sotterraneo che sostiene persino il Duomo, definito un bastimento galleggiante. Un mare che non si mostra mai. In una città dove imperano tutti i tipi di mostre, lacqua è il mostro in gabbia.
Andando a zonzo tra le fontane milanesi non si può fare a meno di notare come siano concepite in stile monumenti ai caduti, dove lestinta da compiangere sembra proprio quella che dovrebbe essere invece la sua protagonista. San Babila. Il Panettone impermeabile. Più che una fontana, una tana-fonte. Dal megatarmitaio sgorga una doccia spalmata sul marmo, muta e senza vita, quasi che lacqua si dovesse vergognare di essere splendida in una nudità che non necessita di sostegni, perché è in grado di esprimere da sola, se fatta scorrere con sapienti mezzi, unarchitettura dal fascino eterno. Invece, dove cè lei, zac! Subito una barriera, un muro a ghigliottina: eccolo lì il cubo di Aldo Rossi di fronte a via Montenapo.
Cosa teme Milano dellacqua? Lirruenza? In essa cè il suo carattere. Limprevedibilità? La rende dilettevole. Avrà paura della sua pelle bambina, come intuì Giorgio De Chirico, quando nel 1973 installò alla Triennale i Bagni Misteriosi, rompendo lo stile imperante futurista, adatto a una macchina ma non alla creaturalità acquatica. Prima magìa della nostra infanzia: la trasparenza inafferrabile che scorre sulle mani. Cè e non cè. Lartista dorigine grca fece un laghetto con casette come castelli di sabbia e un cigno colorato. Non spunta lacrima che faccia galleggiare questa vasca-giocattolo su una superficie luccicante come lo specchio dei sogni. Questo è lacqua: un sogno e de De Chirico è in secca. Milano teme di portare a galla quel sogno: una fontana degna di tale definizione.
Come il denaro, il tempo, la vita, anche lacqua è un bene e in città sembra che vada soppesato sulla bilancia del profitto. Guai a scialacquare, e mai verbo fu più pertinentemente usato. Non cè uno spruzzo della bella fonte dei giardini Falcone e Borsellino in via Benedetto Marcello che dìa il senso delleleganza e della magnificenza di uno zampillo. I getti spuntano con avarizia, così poveri da risultare sciancati. Si è anche pensato: sarà perché qui piove molto il motivo per cui le fontane sono striminzite? Si aspetta lacqua dal cielo perché la pozzanghera si riempia.
In quanto a rubinetti, daltro canto, se ne vedono molti. Al Sempione, poligono dellAcqua Marcia, dove più di un extracomunitario con la bottiglia in plastica raccoglie un po di liquido con cui risciacquarsi i piedi. Non si scherza neppure al Tritone in via Angheri. Nonostante nereidi e delfini il rubinetto impera, attento che la musicalità della «fontina» - leggi piccola fonte - non sovrasti il rumore del traffico, perché il senso che più beneficia della presenza di questo elemento è proprio lorecchio.
Come si può finalmente ascoltare in via 22 Marzo.
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