«A Milano devo tutto Senza di lei non sarei stato io»

La voce che parte da lontano e ti arriva vicinissimo, che ti sa raccontare le sue storie ma anche, immancabilmente, le tue. La musica vecchia e nuova, in un lungo viaggio che dal palco ti porta attraverso i generi, e soprattutto attraverso una carriera fatta di trentadue anni di musica, su cinquantadue da essere umano. Un concerto di Enrico Ruggeri non è mai una cosa sola, e difatti lui non manca di ricordarlo: «Quando preparo un concerto, parto sempre dal presupposto che il pubblico non debba poter etichettare lo spettacolo dopo tre o quattro pezzi. Non voglio che si aspettino un concerto rock, o un concerto piano e voce, voglio spendermi su tutti i fronti che mi hanno coinvolto fino ad oggi». Lezione applicata alla perfezione con lo spettacolo che Ruggeri porterà domani sera alla Villa Reale di Monza (ore 21, info: 039-323222): in sinergia col ritorno in tv del musicista - come conduttore del programma «Mistero», dedicato al paranormale, otto puntate proprio da domani su Italia 1 alle ore 21 - e con l'uscita, nel gennaio scorso, dell'album-cofanetto «All In - L'ultima follia di Enrico Ruggeri», i fan dell'artista si godono un multiforme beniamino.
«Mistero» non è il solo progetto tv che avrà Enrico Ruggeri come protagonista, giusto?
«Esattamente. Dal 24 luglio introdurrò sette puntate su History Channel, dedicate alla storia del rock. La Bbc, che produce il progetto, ha chiesto ai colleghi italiani quale artista, dotato di una voce riconoscibile al pubblico, potesse fare da conduttore, e hanno pensato a me. La cosa mi ha fatto molto piacere».
Il suo ultimo album ha tre volti: un capitolo in cui reinterpreta l'album «Rock Show» insieme con i giovani artisti pescati su Internet, sul sito MySpace; una raccolta di cover reinterpretate, e la colonna sonora del film «Volata finale» del regista albanese Gjergj Xhuvan: cosa, di tutto, questo, finirà sul palco della Villa Reale?
«Il concerto racconterà i miei classici che al pubblico non si possono negare, e in più una scelta dai primi due capitoli di questo triplo cofanetto. Ovviamente, la colonna sonora resta un discorso a sé, sono brani strumentali che non avrebbero senso in questa dimensione. Con me ci sarà la band di sempre, con l'aggiunta di un chitarrista: accanto al fido Schiavone avrò Paolo Zanetti, che condivido con l'amico Davide van Der Sfroos: con lui suona la fisarmonica».
Cercare sconosciuti artisti nazionali e internazionali su MySpace per collaborare con loro è segno di attenzione verso i giovani e anche verso la tecnologia. Sul web ha trovato più originalità o manierismo?
«Ovviamente ho trovato di tutto, cose alternative come manieristiche. Internet ha comunque cambiato tutto: non ha solo penalizzato la musica con il download illegale, ha anche permesso nuove collaborazioni. Qualche anno fa questo progetto non sarebbe stato possibile. Ho cercato da casa nuovi artisti, tutti hanno aderito con entusiasmo: con loro ho riadattato in lingue straniere i testi di Rock Show, abbiamo suonato insieme a distanza. La canadese Ima, con cui interpreto il brano Attimi, nel frattempo ha sfondato nel suo Canada, ed è passata pure dall’Italia, dove ci siamo conosciuti di persona. È il segno che avevo visto giusto».
Nel disco canta in inglese e francese, ma il milanese Ruggeri non ha mai sentito l'esigenza di ricorrere al dialetto della sua città?
«Be’, con Van Der Sfroos ho cantato in comasco, il suo laghè, che è sempre lombardo. Anche se lui ha dovuto correggere qua e là la mia pronuncia. Chissà, magari un giorno ricorrerò anche al milanese puro».
Nei suoi 32 anni di professionismo musicale, quale ruolo ha avuto Milano?
«Un ruolo enorme, qui in città pulsavano le nuove tendenze. A Milano vivo benissimo, sono celebre come Topolino ma allo stesso tempo raccolgo molto rispetto. Percepisco che la gente ha piacere di vedermi e incontrarmi per strada. Mi riconoscono come un vecchio amico. Senza Milano non sarei stato io».
Fare musica in una città come Milano e cercarsi una strada nella discografia è più o meno difficile oggi?
«È molto più difficile.

Le case discografiche non investono nei giovani, a parte quelli dei talent-show-tv che però sono interpreti e non autori. I locali in città chiedono cover ai gruppi, in tv ti chiedono cover. Non c'è più la pazienza di aspettare artisti oltre il loro primo disco».

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