Francesca Amé
«C'è stato un tempo in cui i pittori non volevano più essere spiriti individuali, ma andavano alla scoperta delle città in cui vivevano, creando un rapporto intenso tra le loro opere e gli abitanti di quelle città». Con queste parole (e tanta nostalgia) Alain Jouffroy, scrittore e poeta francese, racconta la nascita del gruppo degli «Affichistes». Parola intraducibile in italiano, comprende un manipolo di artisti italiani e francesi che tra il Dopoguerra e gli anni Settanta ha esplorato l'arte del collage e del décollage recuperando le scritte pubblicitarie affisse in strada per trasformarle in opere d'arte su tela.
Da oggi un centinaio di lavori di Mimmo Rotella, Jacques Villeglé, François Dufrêne, Raymond Hains, Wolf Vostell, Gil Wlman e Jorn sono in mostra alla Galleria del Gruppo Credito Valtellinese in corso Magenta (sino al 21 gennaio). «Affichistes tra Milano e Bretagna» è il titolo scelto dalla curatrice Dominique Stella per questa collettiva. Ricordare quegli anni di fermento culturale e di amicizia è un immenso piacere per i protagonisti di allora.
E sono molti, oggi, i ricordi di quell'esperienza che Jacques Villeglé ancora conserva: numerosi e sfaccettati come le sue opere esposte in mostra, tra cui spiccano gli «Affiches Lacérées», enormi collage di due metri per tre.
Monsieur Villeglé, che cosa di ricorda di «quella» Milano?
«Penso al fermento culturale degli anni Sessanta e Settanta, quando ci si ritrovava nelle gallerie cittadine: allora andavo spesso a Venezia e ogni viaggio era l'occasione per una piacevole sosta qui. L'ultima mia mostra milanese risale a metà degli anni Ottanta».
Lei, come Hains e Restany, è bretone e infatti molte opere esposte, oltre che dai maggiori musei francesi, arrivano da sedi regionali. La vostra è tuttavia una poetica attenta alla città più che al paesaggio naturale.
«L'affiche è uno spettacolo di strada, ha bisogno della città per vivere».
A Parigi siete diventati un gruppo.
«Grazie a Restany, Mimmo Rotella venne a Parigi nel novembre del 1960 per conoscerci: da allora cominciò a mettere anche lui sulla tela manifesti lacerati».
Lei e Hains lavoravate già da tempo su questa tecnica.
«La nostra prima opera insieme risale al '49: fu il nostro primo "furto" di un manifesto lacerato che finì incollato su una tela».
Che cosa ricorda di quei tentativi?
«Sentivo di vivere in un ambiente che non poteva capirmi».
Che differenza c'è tra i vostri lavori e le tante espressioni della Street Art di oggi?
«L'ironia. Io prendevo in giro i costruttivisti: ad esempio, in Le crime ne paie pas ho imitato la struttura circolare e calibrata delle loro opere per dissacrarle. I giovani di oggi sono ancora tutti presi a ironizzare sull'Ottocento.
Progetta ancora affiche?
«Creare queste opere è faticoso e non mi va di delegare i miei assistenti: da 5 anni ho smesso di rubare manifesti in giro».
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