Milano festeggia i campioni del Risorgimento

Questione mai sopita, quella sul senso dell'arte. Quando poi quest'ultima disegna gli scenari della nostra vita, il problema diventa collettivo: che senso hanno i monumenti cittadini, tanto più oggi che il tempo consuma le opere e i pensieri con schizofrenica voracità? A Milano il dibattito sull'arte pubblica è più aperto che mai. Giulio Gallera, che presiede la giuria della mostra-premio «Scultura nella città - Progetti per Milano» (fino al 14 giugno, con premiazioni giovedì), organizzata dalla Permanente e fortemente voluta dal suo presidente Guido Podestà, azzarda una risposta: «Oggi il senso dell'arte pubblica va ricercato nella valorizzazione del territorio. Al nostro Premio partecipano 200 artisti, di cui 70 giovani, con i loro progetti per Milano». È dunque nella riscrittura del paesaggio urbano che va trovato un senso alla scultura in città. Intorno a un monumento nascono storie, si sviluppano narrazioni. «Se penso a certe periferie, quartieri-dormitorio senza identità, mi viene in mente il ruolo di catalizzatore che un monumento può avere». Ormai sono tramontati i tempi in cui il monumento esaltava valori patriottici e ideologici, eroi, caduti. E negli ultimi decenni il termometro dell'arte urbana a Milano segna una crisi di identità preoccupante. «Da una quindicina di anni - commenta Gallera- ben poche sono state a Milano le realizzazioni di un certo impatto». E fra queste praticamente nessuna è stata esente da critiche: è il caso del rigurgito pop «Ago e filo» di piazzale Cadorna, opera di Oldenburg e Van Bruggen; ma anche del monumento a Sandro Pertini di Aldo Rossi, in piazza Croce Rossa. Molte anche le opere dimenticate: su tutte la fontana dei «Bagni misteriosi» di De Chirico o la scultura per il parco Sempione di Burri. Più in generale, manca un disegno complessivo che vada al di là delle singole iniziative prese di volta in volta. «A Milano è mancata la giusta considerazione, da parte degli amministratori, per il ruolo delle opere d'arte e degli scultori. Con la nostra iniziativa vorremmo da una parte stimolare gli artisti a far sentire la propria presenza e dall'altra sensibilizzare amministrazione e cittadinanza». Non sono mancati, in passato, buoni esempi di lettura del contesto: su tutti il «Grande disco» in bronzo lucido di Arnaldo Pomodoro (1972), pensato per piazza Meda e ben presto diventato un fulcro riconosciuto di quel centralissimo scorcio di «city».

Oppure il «Concetto Geologico» di Franco Zazzeri, sotto la Centrale. Poco distante, l'antiretorico omaggio a Giuseppe Mazzini, progettato da Pietro Cascella nel 1974, rappresenta un buon modello di spazialità orizzontale.

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