In piedi, davanti a un’enorme pianta aerea di Milano, indica, gesticola, percorre vie, piazze e quartieri. Ma, soprattutto, si infervora, si infiamma, si appassiona, si inorgoglisce. Non capita tutti i giorni di vedere un giovane assessore del Comune di Milano così entusiasta del «suo» programma, non capita tutti i giorni di sentire, da parte di un esponente del Comune di Milano, un programma di così vasta portata. Carlo Maria Giorgio Masseroli, quarantunenne assessore allo Sviluppo del territorio, laureato in Ingegneria gestionale al Politecnico, sposato, padre di quattro figli, ci spiega come e perché lui e la giunta vogliono trasformare la città. «Stiamo lavorando sul progetto “Milano 2030” e al “piano del governo del territorio”. L’ultima volta che si pensò a Milano nel suo insieme era il 1954, quando fu fatto il Piano regolatore che usiamo ancora oggi. Nel 1980 ci fu una variante generale a questo piano, poi più niente. Il che vuol dire 54 anni fa e quasi 30 anni fa. Perciò dico che questo è, per Milano, un momento storico».
In concreto che cosa volete fare?
«Di che cosa ha bisogno Milano? Di infrastrutture e stiamo ragionando sulle metropolitane e sulle strade. Vogliamo trasformare una città che finora ha avuto una forma radiale, cioè un centro e un irraggiamento verso l’esterno, in una città reticolare, cioè una città in cui non c’è solo il centro infrastrutturato ma ci sono diversi ambiti che diventano, a loro volta, epicentro di sviluppo tutto intorno. Come è successo con la nuova Fiera, al cui fianco sorgerà il padiglione dell’Expo».
Sulla mappa che prende tutta la parete alle spalle della scrivania, l’indice di Masseroli vola dalla nuova Fiera all’area attorno a via Stephenson. «Guardi qui, dove ci sono le cinque torri di Ligresti che sono da ristrutturare. Quest’area, vista dalla Milano-Varese è un orrore, bene, qui può nascere la Défense milanese, qui si possono fare 20 grattacieli che non disturbano niente e nessuno, sono 600mila metri quadrati con difficoltà di collegamento che quindi non vengono utilizzati».
Assessore, allora non ha tutti i torti chi la accusa di voler cementificare Milano.
«Nessuna cementificazione. Infrastrutturazione non significa soltanto metrò e strade. Ma anche servizi. Ho girato i quartieri di Milano uno a uno, ho incontrato associazioni, consigli di zona, cittadini. E ho visto una grande presenza di associazionismo, terzo settore, volontariato che oggi non ha lo spazio fisico per fornire i servizi ai cittadini. Dobbiamo dare spazio a questi interlocutori che sono molto più bravi e hanno costi nettamente inferiori al Comune. Ma quando parlo di servizi intendo anche la casa in affitto, oggi non ce ne sono a prezzi accessibili. Così i cittadini, le famiglie, le giovani coppie, gli studenti, i lavoratori vanno tutti ad abitare fuori Milano. Generando un meccanismo di pendolarismo automobilistico, con grandi danni all’ambiente».
Incrociamo lo sguardo con l’assessore. Non deve sfuggirgli l’espressione forse un po’ scettica di chi nella vita ne ha sentite tante. E si infervora ancora di più. «Guardi che questo è un tema fondamentale per il 2030».
È un bel progetto, ma in che modo obbligherà i costruttori ad affittare a prezzi controllati piuttosto che a vendere al prezzo che vogliono?
«Ci arriviamo, ma prima mi lasci spiegare tutto il progetto. Terzo tema fondamentale per il 2030 è l’ambiente. E non parlo di ambiente in modo astratto o di giardinetti, ma di progettualità sull’ambiente. Se io dico infrastrutture e densificazione dico densificazione dove ci sono le infrastrutture. Non deve più capitare un’università Bicocca senza metrò o un Porto di Mare con una fermata del metrò che esce nel degrado, nel nulla - indica Porto di Mare sulla carta -. Qui non c'è niente, non c’è parco, non c’è verde. Però c’è il metrò. Dunque densificazione dove c’è infrastrutturazione e progettualità del sistema ambientale. In concreto? Il Parco Sud è un ambito degradato, non utilizzato, pieno di abusivi. Ho chiamato gli agricoltori del Parco Sud e ho detto loro: “Facciamo un progetto di parco agricolo produttivo che funzioni davvero”. Vogliamo che Milano diventi l’unica città al mondo fortemente urbanizzata con un sistema agricolo che funzioni. E c’è il progetto per la sistemazione del bacino del Lambro, con l’Ecomostro che può essere trasformato in albergo. E poi ci sono i raggi verdi».
Non vorrei sembrarle prosaico, ma i soldi chi ce li mette?
«Aspetti. Per fare tutto questo, soldi a parte, occorrono alcuni elementi. Il piano su cui stiamo lavorando è fortemente flessibile, non vince il vincolo ma la performance dei progetti. Un progetto mi interessa se funziona non se rispetta certi vincoli che hanno portato a una città più brutta e meno ordinata. Quindi un piano flessibile, liberista, sussidiario, trasparente. Tutto questo sta in piedi solo se c’è una forte regia pubblica. Prendiamo il discorso sulle case in affitto, il tema più serio. Oggi le aree hanno un indice edificatorio dello 0,65%, cioè su un’area di 10mila metri quadri si possono costruire case per 6.500 mq. Il prezzo medio di un’abitazione è di 2500 euro al mq, appetibile perché più basso del prezzo di mercato, ma non raggiungibile dalla gente normale».
Che infatti rinuncia e se ne va...
«Senza case in affitto Milano perde cittadini, diventa vecchia. Milano è abitata da un milione e 300mila persone, ma è usata da due milioni e 200mila persone. Un milione di persone tutti i santi giorni viene a lavorare da fuori, è andata ad abitare in provincia perché qui non trova casa. Nel 2030 Milano potrà essere abitata da due milioni di persone, riportando in città chi qui lavora ma abita fuori. E abiteranno dove ci sono infrastrutture che gli consentano di non prendere l’auto. Per farlo basta alzare l’indice edificatorio a 1,5... Non esageriamo, diciamo a 1 senza aumentare il costo dell’area. Però io, amministrazione, cioè regia pubblica, dico al costruttore che deve vendere a 1800 euro al metro: ti faccio costruire di più ma ti fisso il prezzo. Oppure, è la soluzione in cui crediamo di più, possono entrare in gioco le fondazioni bancarie e i fondi, c’è un dialogo aperto con Guzzetti (Fondazione Cariplo, ndr). Loro comprano e affittano, abbiamo fatto i calcoli, avrebbero un ritorno del 3-6%; con un mix di affitto libero e affitto convenzionato si potrebbe arrivare all’8% e allora ci starebbe anche Pirelli».
Ma i costruttori sono abituati a ben altri guadagni.
«I costruttori finora hanno navigato nell’oro, con ritorni di capitale altissimi, senza rischi. Era il Bengodi. Questo tempo è passato, oggi chi vuole fare il costruttore deve essere disposto a ritorni più bassi e rischi più alti. Vado oltre. Per i costruttori è quasi un dovere civile investire sul territorio. Se no si blocca tutto e muoiono anche loro. Sto parlando di un cambio culturale. Questa è la partita che l’amministrazione deve giocare. Non solo, se chi ha soldi non investe arrivano i fondi sovrani, che già si stanno muovendo».
Parliamo di Expo, mettiamo che i costruttori siano disposti a investire. Il loro presidente, De Albertis, è preoccupatissimo per i tempi della burocrazia, dice che se non si parte subito siamo fuori tempo massimo.
«Stiamo facendo la rivoluzione del sistema e il 2009 sarà un anno decisivo; adotteremo il nuovo piano di regolamento del territorio con grandissima attenzione al tema del risparmio energetico e al tema della qualità degli interventi per la bellezza di Milano. I programmi sono tanti, dagli scali ferroviari alla sistemazione delle vie Sammartini e Ferrante Aporti, da Cascina Merlata a San Siro, le ho già parlato della città agricola, della “nostra” Défense. E poi... Un’opera monumentale, il tunnel Linate-Malpensa».
E i tempi quali sono?
«Il nostro obiettivo è chiudere tutti gli accordi di programma entro il 31 settembre 2010, e subito dopo aprire i cantieri che dovranno durare 4 anni. E andrà rivisto il meccanismo dei ricorsi.
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