Milano, i centri sociali si alleano con i cinesi

In 400 alla fiaccolata del Carroccio in via Sarpi: "Non prendiamo lezioni da Pechino". Gli autonomi scendono in piazza per appoggiare gli asiatici. La promessa dei no global: "Saremo con voi anche in piazza Duomo per protestare insieme"

Milano, i centri sociali si alleano con i cinesi

Milano - Bruciano un manifesto che reclama «l’embargo» per i negozi made in China. Innalzano una bandiera rossa, con tanto di falce e martello. Urlano slogan di rivolta contro la Milano «razzista e borghese di Letizia Moratti». I cinesi applaudono e gli regalano casse di birra. Una, due, tre casse. Loro ricambiano con una promessa: «Anche noi saremo in piazza Duomo insieme a voi».

Impegno che per i milanesi è una minaccia, rivivere la rivolta cinese fuori dal triangolo di Chinatown dove l’illegalità è di casa. Già, a siglare quell’accordo, a garantire quel patto sono i centri sociali.

Sì, gli autonomi danno appuntamento per mercoledì, dalle ore 15 alle 18, al presidio organizzato in piazza Duomo dai rappresentanti della comunità cinese. Centottanta minuti per infiammare il clima, per gettare un cerino acceso sulla benzina. Giustificati dunque i timori della questura che pur autorizzando la manifestazione cinese ha però vietato «per motivi di ordine pubblico» il presidio organizzato in piazza Scala, davanti al Comune.

E che l’atmosfera potrebbe degenerare in un replay di giovedì scorso, in nuovi violenti scontri con aggressione alle forze dell’ordine, lo sostiene anche Emanuela Troisi, supporter della protesta: «I cinesi non sono mai scesi in piazza, temono che la situazione sfugga loro di mano, che qualcuno venga coinvolto in qualche provocazione».

Annotazione che, ieri, in via Paolo Sarpi ha già avuto un prologo: solo per un soffio Mario Borghezio ha evitato di finire all’ospedale. Grida, sputi e lattine gettate contro l’europarlamentare leghista che avrebbe voluto portare la sua «solidarietà» ai commercianti e ai residenti italiani che «si sentono stranieri in patria». Gli autonomi per vietargli di circolare per le strade del quartiere hanno pure inscenato il blocco del traffico all’incrocio tra Sarpi e via Bramante, distribuendo volantini scritti in mandarino dove si incita «alla reazione contro l’immondizia leghista».

Virgolettato che non ha alcun bisogno di chiosa. Come non ne ha quell’altro volantino - in italiano - dove, nero su bianco, gli antagonisti in salsa ambrosiana lanciano un messaggio «per la costruzione della solidarietà con i cinesi in rivolta: «Nessuno spazio per i razzisti a Milano. Inaccettabile ogni provocatoria presenza di leghisti e fascisti a Chinatown. Italiani e immigrati uniti contro razzismo e repressione».

Parole d’ordine che quelli del Torchiera, dell’ex Bulk e del Vittoria hanno scritto sui muri, «cinesi e italiani contro la polizia», e che garantiscono di riportare con forza, domani, in piazza Duomo. Anche godendo di quel complice silenzio nell’Ulivo in Comune che mentre reclama «una presa di distanza» del sindaco alle manifestazioni leghiste di ieri - un presidio serale nel quartiere cinese, al suono di Oh mia bella Madunina e panini al salame - non spende nemmeno due righe per mettere all’indice l’alleanza autonomi-cinesi. E lo stesso fa la Provincia di Milano, che in una nota definisce «indegne le manifestazioni (padane, ndr) che fanno leva sulla paura e che speculano».

Risultato? I centri sociali spesso e volentieri finiti nelle cronache giudiziarie domani in piazza Duomo innalzeranno le bandiere rosse, bruceranno altri manifesti e urleranno nuovi slogan contro il Comune e i milanesi colpevoli, secondo il consulente legale del console Zhang Liming, «di non dialogare con la comunità».

E, intanto, ad appena tre fermate di metrò da piazza Duomo continua il suk illegale, l’invasione degli spazi in un quartiere diventato

ghetto dove a voler uscire dall’isolamento sono gli italiani, davvero poco tranquillizzati dalla nuova liaison siglata a Chinatown: la contrapposizione tra le Istituzioni e la guerriglia ha riacceso la lotta estremista.

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