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Una Milano libera dalle tasse: fa paura a tanti ma è vincente

L’idea di una città che offra un fisco vantaggioso a chi investe può suscitare invidie e veti, ma sarebbe utile a tutte le imprese

di Claudio BorghiChe ci fa a Dublino, in un ufficio che guarda tristemente il fiume coperto dalla nebbia, un gestore di fondi di investimento italiano, specializzato in azioni italiane e che lavora per un gruppo finanziario italiano? Semplice, sta là perché la fiscalità offerta dall’Irlanda per le società finanziarie è sempre stata terribilmente conveniente. La fatica di spostare via dall’Italia tutti gli uffici che gestiscono miliardi di euro di risparmi domestici ha probabilmente pagato negli anni, dove grazie agli incentivi iniziali e alla tassa finale sugli utili di impresa limitata al 12.5% le società di gruppi italiani hanno potuto ottimizzare il loro carico fiscale. Il gruppo Unicredit, ad esempio, ha spostato la propria divisione investimenti da Milano all’Irlanda sin dal 1998. Da allora zero tasse e lavoro in Italia e un contributo non da poco al boom economico di Dublino, che poi però non ha retto ad un passo evidentemente più lungo della gamba. Tuttavia, senza particolari timori di fare poi la stessa fine, dato che la struttura italiana è ben diversa, quello che ci vorrebbe per rimettere in moto la nostra economia Italiana è proprio un po’ della «droga» fiscale sul modello di quella irlandese, con delle detassazioni competitive che potrebbero far ripartire i distretti industriali attirando imprese o semplicemente convincendo chi aveva fatto altre scelte a ritornare a casa. Ovvio però che la benzina vada messa dove c’e’ il motore: chi pensa che basti un’area di fiscalità di vantaggio per creare dal nulla una rete di imprese si sbaglia di grosso. Una piazza finanziaria ad esempio necessita di infrastrutture, di frequentissimi collegamenti aeroportuali con il resto del mondo, di una presenza capillare di società parabancarie, risparmiatori, tecnologia, servizi efficienti. Se non ci sono queste cose per avere successo si può solo sperare di giocare al piccolo paradiso fiscale portando le tasse a zero, cosa impensabile in Europa. Milano finora si è tenuta a galla come polo finanziario esclusivamente basandosi su questi fattori, perché il carico fiscale, burocratico e giudiziario ha finora remato pesantemente in direzione contraria. Non dovrebbe esserci quindi niente di strano in una proposta di detassazione per le società del risparmio che intendano trasferirsi a Milano come quella citata nei giorni scorsi dal Ministro Tremonti, forse con in mente il suo progetto di aggregazione tra le maggiori società italiane di gestione del risparmio. Una fiscalità di vantaggio non danneggerebbe alcun altro luogo d’Italia dato che non vi sono serie piazze finanziarie alternative a Milano che ne soffrirebbero la «concorrenza» interna e potrebbe funzionare solo qui dato che altrove ne mancherebbero del tutto i presupposti. Gli unici a subirne le conseguenze potrebbero essere i nostri «rivali» europei e non, tanto che dalla Svizzera si sono già levate le prime voci di dissenso, dato che se un progetto del genere fosse attuato con successo sarebbero proprio le vicine piazze elvetiche, già impattate dal successo dello scudo fiscale e delle politiche antievasione, a farne le spese. Tutto bene dunque? Occorre prudenza: spesso tra le buone idee e la loro realizzazione si frappongono mille ostacoli imprevisti, e davanti alla «zona franca» milanese ce ne sono almeno due prevedibilissimi. Il primo è l’invidia delle altre regioni. Fin troppo facile prevedere che in molti alzeranno alti lamenti al cielo dicendo che non è giusto, che Milano è già ricca e via di banalità. L’invidia è una brutta cosa e in Italia non manca mai. Probabilmente varrà a poco ricordare che un progetto di questo tipo non toglierebbe nulla a nessuno ma anzi, se di successo potrebbe aumentare la ricchezza del paese che già viene abbondantemente «girata» da Milano al resto del territorio, la demagogia di solito tende a prevalere.

Inoltre è da aspettarsi un veto europeo: le iniziative competitive di solito sono mal viste a Bruxelles anche se le attuano i paesi del nord, figuriamoci se dovessimo provarci noi. Sognare tuttavia non costa nulla. Aspettiamo (quasi) fiduciosi.
posta@claudioborghi.com

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