Milano porta già l’Inter in trionfo

La notte è piccola per noi, cantavano anni fa le gemelle Kessler. Quella dell’Inter dopo la partita col Barcellona è stata invece lunghissima, sembrava non dover mai finire, in un’orgia di urla e canti, con i giocatori stravolti per la fatica ma ebbri di felicità e il popolo nerazzurro letteralmente impazzito per la finale raggiunta. Aeroporto di Malpensa, ore 2,10, il volo AZ8051 da Barcellona atterra dolcemente, scarica il prezioso materiale umano targato Inter e, appena varcata la linea della frontiera, a porte scorrevoli spalancate, i giocatori si sono trovati immersi nello stadio di casa nostra, questa volta. Perchè in duemila, tremila o forse più hanno accolto l’invito di Josè Mourinho: «Venite all’aeroporto ad accogliere questi eroi» e per una notte Malpensa si è tramutata in un’agorà festante.
Volti stanchi ma sorridenti e via via sono sfilati capitan Zanetti, Muntari, Maicon («Calmi, manca tanto, andiamo piano», rivolto ai tifosi), Materazzi, Milito (osannato come un padreterno), Eto’o (sollevato di peso e portato in trionfo), un taciturno e serio Mourinho che però un paio di sorrisi se li è fatti scappare. E poi tutta la comitiva interista con il presidente Massimo Moratti a chiudere le fila come se volesse stendere le ali protettrici sui suoi eroi. «E’ stato difficile, simo stati obbligati a giocare così perchè siamo rimasti in dieci, non potevamo fare diversamente», la sua analisi della partita. «Qualcuno mi ha detto che sarebbe stato impossibile superare il turno in dieci, invece ce l’abbiamo fatta, il merito è del carattere meraviglioso della squadra e di Mourinho. E proprio sotto il profilo del carattere è stata una bellezza di partita».
Il fatto di aver sofferto in tribuna d’onore fianco a fianco con il presidente blaugrana Laporta (ma al fischio finale Moratti è esploso braccia al cielo nemmeno fosse un ultrà) è stato risolto dal numero uno nerazzurro con un gesto d’amicizia: «Siamo amici e ci siamo abbracciati, sapevamo che uno dei due sarebbe uscito scontento. Ma il legame tra Inter e Barcellona è solido». E, a proposito di affettuosità, Moratti s’è lasciato andare: «Ho abbracciato anche Mourinho, era felice ed emozionato e lo ero anch’io, così ci siamo trovati uno tra le braccia dell’altro. Anche perchè mi ricorda sempre più nel carattere e nella determinazione Helenio Herrera».
Già, Mourinho che ha assaporato il trionfo al Camp Nou e che s’è lasciato andare a dichiarazioni criptiche: «Qui a Barcellona m’hanno trattato in un certo modo e sarà così anche in futuro, già l’anno prossimo quando tornerò qui e mi tratteranno allo stesso modo». Come mai è così sicuro di tornare ad affrontare il Barça? Ma con quale squadra? Con l’Inter? O magari col Real Madrid viste le voci ricorrenti e le indiscrezioni che Marca, quotidiano madrileno, pubblica ogni giorno? E ieri l’ha definito «el rey del Camp Mou».
Tra tanta gioia, un piccolo neo e, guarda caso, arriva da Balotelli. Commosso e con le lacrime agli occhi negli spogliatoi a fine gara, «per la prima volta ho pianto per una partita» ha confidato, teso e tirato all’arrivo a Malpensa, soprattutto quando ha colto che qualche tifoso era pronto a contestarlo. Fischi e insulti che sono arrivati puntuali, col giocatore scortato dagli addetti alla sicurezza fin nel parcheggio annebbiato dai fumogeni dei tifosi. E qui Mario è stato colto da un piccolo malore, per circa un minuto è rimasto con i gomiti appoggiati al tetto dell’auto, accasciato e con la testa bassa, come se gli mancasse l’aria. Allora le urla si sono trasformate in incitamenti («Mario non te ne andare, resta all’Inter»), Balotelli si è tirato su e dopo aver brevemente parlato con un capo della Curva Nord che gli ha chiesto di «metterci l’impegno», si è allontanato sorridente in auto.
E allora, tutti a casa, a recuperare fiato ed energie.

Mourinho ha dato un giorno di assoluto relax perchè da oggi sono previste cinque finali consecutive: a Roma con la Lazio e con i giallorossi per la coppa Italia, il Chievo al Meazza, trasferta a Siena e, dulcis in fundo, il Bayern Monaco al Bernabeu. Imsomma, il riposo del guerriero: quando ci vuole, ci vuole.

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