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Milano, al processo Mills salto mortale dei giudici pur di condannare Silvio

Quando la prescrizione incombe e in qualche modo bisogna tirare le fila, il giudice si rimangia le sue stesse ordinanze, cancellando, per ovviare alle sue stesse lentezze, i testimoni della difesa che prima aveva ammesso

Milano, al processo Mills  salto mortale dei giudici  pur di condannare Silvio

Milano - Vicende complesse sono a volte governate dall’imponderabile. E così accade che nel braccio di ferro ultradecennale - e carico di implicazioni politiche e giuridiche - tra la Procura di Milano e Silvio Berlusconi alla fine l’ha fatta da padrone il caso: che un anno fa ha assegnato il processo al Cavaliere per l’affare Mills a un giudice che palesemente non aveva nessuna voglia di farlo, e che costretta a sbrigare la patata bollente ha traccheggiato per mesi, una udienza ogni tanto, con il pm Fabio De Pasquale che legittimamente schiumava insofferenza.

E però adesso, quando la prescrizione incombe e in qualche modo bisogna tirare le fila, il giudice si rimangia le sue stesse ordinanze: cancellando, per ovviare alle sue stesse lentezze, i testimoni della difesa che ella stessa aveva ammesso. Dando agio ai legali del Cavaliere di insorgere contro la compressione dei diritti della difesa. Accade tutto ieri pomeriggio, dopo una settimana in cui le sorti del processo all’ex premier - accusato di avere comprato con 600mila dollari nel 1999 la reticenza del suo avvocato offshore David Mills, interrogato dai pm milanesi - oscillava come su un’altalena: prima sembrava che la Procura si fosse rassegnata alla prescrizione, poi la Corte aveva messo in calendario delle nuove udienze e ad arrendersi all’ineluttabile sentenza erano parsi Piero Longo e Niccolò Ghedini, i legali del Cavaliere. Nel frattempo, giuristi e opinionisti si accapigliavano sulla data in cui l’accusa si sarebbe prescritta: chi diceva il 30, chi il 14, chi il 18.

Insomma, si davano i numeri. In realtà, i vertici del tribunale di Milano avevano già accuratamente fatto i loro conteggi stabilendo che il termine ultimo per emettere almeno la sentenza (e, verosimilmente, la condanna) almeno di primo grado è il 12 febbraio. Quindi l’ultima udienza era stata fissata al giorno prima. Un po’ sul filo di lana, ma comunque in tempo utile. Invece ieri succede ciò che era ovvio che sarebbe accaduto: l’interrogatorio-chiave di tutto il processo, quello del presunto corrotto David Mills da parte delle difese di Berlusconi, si trascina più a lungo di quanto il tribunale avesse previsto. Colpa della complessità del tema, delle difficoltà di traduzione, dei buchi neri del collegamento audio (Mills è in videoconferenza da Londra), sta di fatto che il controesame da parte di Ghedini e Longo - nonostante il tribunale cerchi di mettere un po’ di fretta ai legali - non riesce ad arrivare a conclusione. Quindi servirà un’altra udienza. E deve ancora parlare la consulente contabile della difesa. Deve parlare lo stesso Berlusconi, che ha annunciato le sue dichiarazioni spontanee. Come si fa?

Si rischia di arrivare all’11 febbraio senza né arringhe difensive né requisitoria. Il tribunale si ritira in camera di consiglio e ne esce con un’ordinanza che è un triplo carpiato: vengono cancellati tre testimoni della difesa che lo stesso tribunale aveva ritenuto necessari, tra cui Flavio Briatore. E, nella stessa ordinanza, viene fissata una tabella di marcia che appare altrettanto difficile da rispettare di quella fissata nelle settimane scorse, e già travolta dagli eventi.

A questo punto diventa impervio fare previsioni su cosa accadrà. Ma il continuo oscillare ha sortito un risultato sicuro: se vincerà la Procura, e si arriverà a una sentenza di condanna, la difesa potrà agevolmente affermare che il traguardo è stato raggiunto violando le regole processuali.

E se invece il processo si inabisserà nella prescrizione, sarà De Pasquale a poter dire che bastava un po’ più di buona volontà.

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