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Milano, il procuratore ha chiuso il "caso Ruby" Maroni: "Paghi chi ha gettato fango sulla polizia"

Una bufala le accuse per le telefonate alla questura di Milano: "Seguite le procedure di legge". Ruby sostiene di essere stata interrogata sul Cavaliere 23 volte, i pm smentiscono. L'inchiesta di Palermo, il racconto della escort: "Soldi dal premier e Brunetta"

Milano, il procuratore ha chiuso il "caso Ruby"  
Maroni: "Paghi chi ha gettato fango sulla polizia"

Milano - Il colpo di scena arriva alle cinque di pomeriggio, in una Procura dove già si aggirano le donne delle pulizie. Ma è invece Edmondo Bruti Liberati, procuratore della Repubblica, a dare un brusco colpo di spazzolone ad un pezzo rilevante del «Rubygate», l’indagine nata dai racconti della giovane marocchina sulle sue frequentazioni nella villa di Silvio Berlusconi. Da giorni, sui giornali e in Parlamento non si parlava d’altro che della telefonata con cui Berlusconi, la sera del 27 maggio, intervenne sui vertici della questura milanese, dove «Ruby» - ovvero Karima Rashida el Marhug - era stata portata. Come è noto, andò a finire che la diciassettenne «Ruby» venne consegnata alla consigliera regionale del Pdl, Nicole Minetti. Un abuso, un trattamento di favore, una truffa perpetrata dalla polizia su ordine del capo del governo, all'insaputa della Procura dei minori? Niente di tutto questo, dice Bruti Liberati: «A conclusione delle indagini abbiamo accertato che la fase dell’identificazione, del fotosegnalamento e dell’affidamento della giovane marocchina furono correttamente eseguite». Fine.

Insomma, la telefonata tra il premier e i poliziotti vi fu, come ammesso dallo stesso Berlusconi. Ma non ebbe altra conseguenza che un trattamento conforme alle procedure di legge. La dichiarazione di Bruti suona come la conferma plateale delle tesi del Viminale, che fin dall’inizio aveva rivendicato la correttezza dell’operato della questura milanese: e infatti il ministro degli Interni Roberto Maroni, ne prende atto con soddisfazione, annunciando che «si procederà contro chi ha gettato fango sulla Questura di Milano, a tutela della credibilità e del buon nome della polizia». Soddisfazione tanto maggiore quanto più inattesa arriva la dichiarazione di Bruti: anzi, nelle ultime ore, il passaggio del timone dell'inchiesta al procuratore aggiunto Ilda Boccassini e l’interrogatorio dell’ex questore milanese Vincenzo Indolfi erano stato interpretati come l’avvisaglia di una offensiva in grande stile su questo versante dell’inchiesta.

Ieri il procuratore Bruti ha usato, oltretutto, una locuzione non casuale: «a conclusione delle indagini». Se l’italiano ha un senso, vuol dire che la pratica è chiusa. La valutazione della telefonata di Berlusconi, in quella notte primaverile, resta affidata alle regole del galateo istituzionale, e non a quelle della giustizia penale. In realtà che dovesse finire così, lo si poteva intuire - a ben leggere - già la settimana scorsa, quando il capo della Procura dei minori, Monica Frediani, aveva spiegato senza mezzi termini che l’affidamento informale ad un adulto in grado di prendersene cura è prassi non abnorme, quando ci si trova di fronte ad un giovane sulla soglia della maggiore età, e già dimostratosi recalcitrante alla vita di comunità. Cioè proprio come si presentava Karima. Ma nel frastuono mediatico di questi giorni questa affermazione era sembrata irrilevante. Poi la Procura ha tirato le fila. Ha stabilito che i dialogo intercorso tra i funzionari della questura e Annamaria Fiorillo, il pm di turno quella notte presso la Procura dei minori, va iscritto nella categoria semiologica del malinteso. E che le versioni della dottoressa Fiorillo e del prefetto Indolfi, se appaiono formalmente inconciliabili, nella sostanza non lo sono. «La telefonata non ebbe influenza alcuna sulle autonome ed impeccabili decisioni della questura - chiosa Niccolò Ghedini, legale del premier - giorni e giorni di articoli diffamatori vengono così posti nel nulla».

Sarebbe sbagliato, però, leggere questa novità come una sconfitta dell’ala più dura della Procura milanese, e tantomeno come un inizio di sgonfiamento del «Rubygate». Anzi. A Ilda Boccassini - con cui Bruti Liberati ieri si era intrattenuto a lungo, e alla quale aveva verosimilmente preannunciato la dichiarazione alla stampa - non interessava tanto formulare ipotesi di reato relative alle modalità di rilascio di Karima, quanto accertare una volta per tutte, e nei termini più precisi possibili, che comunque l’intervento del capo del governo ci fu: perché è questo intervento, a prescindere dalle sue conseguenze, che nell’ipotesi investigativa della fulva dottoressa dimostra quanto Berlusconi fosse personalmente coinvolto nel rapporto con la ragazza, e quanto tenesse a evitare sue dichiarazioni compromettenti.

Le dichiarazioni, come s’è visto, poi sono arrivate comunque: ma in una tale sarabanda di contraddizioni, di imprecisioni e di marce indietro da rendere improbo il lavoro degli investigatori. Oggi quelle dichiarazioni si accavallano con le altre dichiarazioni, anch’esse difformi una dall’altra, che «Ruby» rilascia agli organi di informazione: e alla fine non si capisce più niente.

Quante volte è stata interrogata? Ventitrè volte, come dichiara lei ad «Oggi», o solo tre, come ribatte la Procura milanese? Che ruolo svolse davvero Lele Mora? Intanto Paolo Berlusconi, editore del Giornale, rende noto di non avere avuto mai legami con Luca Giuliante, legale di «Ruby» e di Mora: «Non esiste con lui alcun rapporto di “consolidata amicizia” contrariamente a quanto è apparso su diversi mezzi di disinformazione».

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