Milano - All’improvviso, ieri mattina, le strade di Chinatown non c’erano più. Si vedevano solo centinaia e centinaia di teste di cinesi una accanto all’altra. Sempre di più: gente che usciva dai palazzi, dai negozi, arrivando silenziosa ma in massa, determinata, con in pugno bandiere rosse. Alla fine un vero e proprio fiume di persone. Spaventoso. Arginato solo dall’arrivo della polizia, dalle cariche della Celere, dalla volontà di ristabilire l’ordine sovvertito da questa massa di stranieri che sferravano calci e pugni alle auto dei vigili, lanciavano bottiglie contro la polizia e si buttavano per terra.
Quello che è accaduto ieri mattina tra via Niccolini, via Bramante e via Paolo Sarpi, a Chinatown, a Milano non si era mai visto prima. Scontri e tensione: il cordone delle forze dell’ordine da una parte e i rivoltosi dall’altra. Guerriglia pura. Il bilancio alla fine è preoccupante: 14 vigili urbani feriti lievemente e due delle loro auto capovolte, una donna cinese denunciata per lesioni e resistenza a pubblico ufficiale, le strade della zona chiuse per sette ore. Uno stato di assedio di un quartiere per lo scoppio della rivolta a lungo covata dagli abitanti di Chinatown. Scesi in piazza in 400 per protestare contro la pesecuzione - come viene chiamata da queste parti in un italiano stentato - che una loro connazionale stava subendo. In realtà un pretesto. «Una rabbia scaturita dai nostri recentissimi controlli - ammette il vigile di una squadra di polizia giudiziaria intervenuto sul posto -, sono circa 40 giorni che setacciamo Chinatown per controllare scontrini e merci, i cinesi sono esasperati, dicono di non riuscire a lavorare». C’è aria di premeditazione.
Tutto inizia alle 9 del mattino quando una pattuglia con due vigilesse a bordo e che in questi giorni presidia Chinatown per far rispettare il carico e scarico delle merci, si ferma in via Niccolini per controllare un giovane cinese: l’uomo sta trasportando scatole di calzature dalla sua auto al negozio di fronte. Le vigilesse gli contestano che il trasporto è avvenuto su una vettura privata e ritirano all’uomo il libretto dell’auto. La vicenda sembra finire lì, con una multa da 40 euro. Ma, due ore e mezza più tardi, l’episodio degenera nella rivolta. La moglie del cinese, la 30enne Bu Rowey, esce dal negozio e, fiancheggiata dai suoceri che l’aiutano a tenere in braccio la figlia di 3 anni, si avvicina alle vigilesse. Vuole il libretto dell’auto: la discussione va avanti per un po’, tanto che attorno alle tre donne si forma un capannello di curiosi. Intanto sul posto arrivano altri sei agenti. Spintonati dalla cinese - così arrabbiata da far cadere anche la figlioletta, che scoppia a piangere -, i ghisa decidono di portarla al comando per identificarla. Lei protesta ancora di più: colpisce con un pugno sul seno una vigilessa, poi afferra il libretto e tenta di fuggire. Subito bloccata, la donna comincia a gridare, chiamando a raccolta i connazionali della zona. Ecco l’adunata: a gruppi i cinesi arrivano, arrabbiati e pronti allo scontro. Gli agenti tentano di allontanarli mostrando il manganello, ma ogni minuto che passa la strada si riempie. I primi spintoni che diventano tafferugli, poi i tafferugli che diventano guerriglia. Arrivano i rinforzi della polizia: Milano torna indietro nel tempo, sembrano gli anni Settanta. Lanci di oggetti contro il muro di poliziotti, poi le cariche, le manganellate.
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