Milano«Dimissioni irrevocabili dalla lista elettorale». In una conferenza stampa convocata sul far del tramonto, Roberto Lassini lascia. Termini e modi non sono ancora chiari, ma lautore dei manifesti anti magistrati abbandona la corsa per un posto nel consiglio comunale di Milano. «Profondamente toccato», scrive in una lettera inviata al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. «Non lo dico per compiacerLa né per riscattarmi, ma perché condivido lattaccamento allo Stato e il rispetto delle Istituzioni democratiche da Lei richiamati». Tutte le maiuscole al posto giusto. Anzi, anche qualcuna di più. «Mi rendo conto che il messaggio espresso in quel manifesto, da me in qualche modo patrocinato, tradiva una rabbia personale con cui ho convissuto per anni e non teneva in giusta considerazione il dolore di altri italiani e lattacco non voluto al nostro Stato». Confessione piena ai torquemada del palazzo di giustizia anche ieri sguinzagliati alla caccia di colpevoli. «Di questo sono amareggiato e pentito. Di questo chiedo pubblicamente scusa a Lei che rappresenta la nostra Repubblica e il Popolo italiano».
Letizia Moratti riprende fiato. Una giornata cominciata prestissimo. Anzi, ancor prima dellalba perché anche la notte è già piena di pensieri. Quel Lassini. Lo sdegno del presidente della Repubblica, le parole di Napolitano: «Ignobili quei manifesti, stiamo toccando il limite». Di prima mattina il briefing con i suoi collaboratori più stretti che unidea su come uscirne già ce lavevano. Ce laveva pure lei. Ma mai come ieri voleva essere appoggiata in una scelta difficile. Forzare la mano, vincere le resistenze romane di un partito che ancora non vuol mollare lavvocato. Lautore dei manifesti choc. Il «via le Br dalle procure». Una vittima della malagiustizia, una vita rovinata da un errore giudiziario, quarantadue giorni di galera prima del proscioglimento assoluto. Molte buone ragioni. Ma nessuna sufficiente a vincere il suo fastidio. Lirritazione per uniniziativa che proprio non le piace. E allora lo strappo. O lui o me. La scelta che i maghi della campagna elettorale, in una notte altrettanto lunga e pensosa, avevano auspicato.
Durissima dichiarazione alle agenzie. «La mia candidatura a sindaco è incompatibile con la presenza di Roberto Lassini nella lista del Pdl». Incompatibile. Nessuno spazio per le trattative che, soprattutto a Roma, qualche colonnello del partito sta cercando di mettere in piedi. Nessun gioco di prestigio. Laut aut è chiaro: o lui o me. «Mi risulta - aggiunge il sindaco quando laffermazione è più un auspicio che un dato di fatto - che il partito stia ufficialmente chiedendo a Lassini il ritiro della sua candidatura». Non è così. Alla riunione di viale Monza, la sede lombarda del partito, mancano ancora molte ore. Lei segue lesame di Milano al Bie di Parigi con finalmente il via libera allExpo del 2015. Partecipa alla presentazione di Benedetta Borsani, unaltra candidata al consiglio, inaugura lampliamento del Museo Archeologico. Ma il chiodo fisso è quel Lassini. «La sua presenza in consiglio è incompatibile con la mia», sentenzia tra un testone di Giove e una lapide. La via duscita? «Quella indicata dal Viminale. La rinuncia». Nessun cedimento, raccontano i suoi. È decisa. E se lui non se ne va? «Se ne va lei». Addirittura? «Col rischio che non faccia più il sindaco, ma rimanga commissario straordinario per Expo».
Un accordo? Impossibile. Nientaltro, ripete lei, che «una ferma condanna di un atto che ho definito ignobile». Il rifiuto di «uniniziativa che colpisce unistituzione in quegli anni duramente attaccata dal terrorismo e che ha pagato con il sangue». Da tanto non la si vedeva così. Quasi una Moratti della prima campagna elettorale. Quella che precedeva il partito con le sue battaglie.
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