«A Milano sono un simbolo ma il museo mi ha snobbato»

Nessuno è profeta in patria, dicevano i latini. Anche chi, come l'artista ottuagenario Arnaldo Pomodoro, nella "sua" Milano ha costruito una lunga e brillante carriera fatta di esposizioni internazionali, premi e opere monumentali che hanno reso le sue lucenti geometrie un'icona della scultura moderna. Eppure oggi, per ritrovare le vecchie energie, preferisce più che mai guardare oltre le Alpi, come in questi giorni in cui Parigi ne celebra il genio con una grande antologica alla Tornabuoni Galerie di Avenue Montaigne e con un bronzo alto sette metri inaugurato ieri nella sede dell'ambasciata italiana per festeggiare i 150 anni dell'Unità. Dalla «sua» Milano, però, vorrebbe più partecipazione, nonostante consacrazioni pubbliche ormai scolpite nella storia della città, come il «Disco» in piazza Meda o la «Torre a spirale» davanti al Piccolo teatro.
Pochi artisti da queste parti possono vantare tanta attenzione...
«Sono felice di essere presente nella mia città con queste opere, anche se la prima è stata donata e la seconda concessa in comodato. Vero è che in un Paese come l'Italia non potevo sperare di più. All'estero ho avuto altre soddisfazioni, come la “Sfera con sfera“ che sta nel piazzale delle Nazioni Unite a New York; oppure il “Disco solare“ in bella mostra davanti al Museo di Arte Contemporanea di Mosca».
Lei è a Milano dal '54, ha lavorato con Lucio Fontana e i grandi architetti del dopoguerra, le sue sfere sono un simbolo...
«Non mi lamento, le mie soddisfazioni le ho avute. Però, se davvero le mie sculture sono un simbolo, non capisco perchè non ce ne sia neppure una al museo del Novecento appena inaugurato».
D'accordo, ma lei ha già una bellissima fondazione di 3.500 metri quadri, con i suoi bronzi in bell'evidenza. Un luogo a dir poco suggestivo
«La Fondazione ha una vita molto difficile nonostante il contributo di Unicredit e il sostegno di Regione Lombardia e c'è bisogno di trovare altri sponsor privati. È uno spazio che ho creato per la città e per le mostre di arte contemporanea, ma dalle istituzioni pubbliche ci vorrebbe un sostegno diverso».
Angela Vettese, la direttrice artistica dimessasi poco dopo la nomina aveva capito l'aria che tirava
«Mi è dispiaciuto perchè Angela è una critica d'arte che stimo molto. Probabilmente si è resa conto delle difficoltà a portare avanti il suo progetto».
Cosa pensa della politica culturale di questa città?
«Nel complesso mi sembra che ci siano delle aperture e devo dire che il nuovo museo del Novecento sta contribuendo a risvegliare gli animi».
Le piace così tanto?
«A essere proprio sincero, trovo che l'allestimento andrebbe rivisitato. Sul piano architettonico l'impresa non era facile, perchè si trattava di riconvertire una struttura storica in sede museale. Trovo comunque che abbia dato finalmente nuova vita a Piazza Duomo. Quando sono lì e guardo in alto, il segno luminoso di Fontana mi fa pensare di essere a New York»
Addirittura
«Quel cubo è stupendo e io, che ero amicissimo di Fontana, conosco la storia di quell'opera luminosa, da quando nel '51 venne allestita per la IX Triennale. Aggiungo una cosa: il progetto dell'Arengario ha risvegliato la voglia dei milanesi di andare al museo e non soltanto alle mostre».
Nella Milano di oggi c'è ancora spazio per i monumenti pubblici?
«Un'opera d'arte ha senso, parafrasando Hegel, se cambia la percezione di un luogo. Oggi purtroppo si è perso il senso della piazza come luogo di intrattenimento e lo spazio urbano è quasi totalmente invaso dall'architettura. Dunque...»
Tra Expo e nuovo Pgt siamo in piena rivoluzione. Milano è stata gestita bene architettonicamente?
«Tra gli anni ’50 e gli anni ’70 sì, abbiamo avuto edifici straordinari come il Pirellone di cui ricordo ancora il plastico nello studio di Giò Ponti, oppure il complesso edilizio di Giorgio Moretti, o la stessa Torre Velasca. Poi la speculazione ha prevalso. Ma ci sono stati e ci sono ancora buoni architetti».
Piazza Cadorna le piace?
«Sì, il progetto della stazione di Gae Aulenti è interessante anche se forse le pensiline sono un po' troppo fitte. Trovo molto adatta anche la collocazione dell'Ago e filo di Oldenburg. Ecco, Gae è uno di quegli architetti che rispetta e collabora con gli artisti».
E il Dito di Cattelan?
«Intelligente e spiritoso in Piazza Affari, una bella risposta a chi si diverte con i soldi degli altri. Però dovrebbe trovare in città una collocazione permanente»
A proposito di decoro urbano. Lei lo scorso anno si dimise dalla commissione Cadeo dopo una polemica su un presunto conflitto di interessi.


«Il motivo delle mie dimissioni è che mi sentivo troppo coinvolto e vincolato nella scelta e nella valutazione delle opere d'arte da collocare nella città, essendo io stesso scultore. La questione è stata poi strumentalizzata».

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