Giacomo Susca
Milano - Nella Chinatown milanese la tregua è fragile come un vaso Ming. A tre giorni dai violenti scontri tra immigrati cinesi e forze dell’ordine, che hanno portato al bilancio di 15 agenti feriti più 5 manifestanti contusi, la sensazione è che il dragone dorma di un sonno leggero. Giustificata la paura dei residenti che temono una nuova rivolta nelle prossime ore: può bastare un carrello «dimenticato» in divieto di sosta. Rassicura solo a parole il console generale cinese a Milano, Zhang Limin, il quale promette di «voler calmare» la propria gente ma intanto si esibisce in discorsi scivolosi: «Il Comune ci dia zone alternative per svolgere le nostre attività. Bisogna pensare agli interessi commerciali: in fondo Sarpi è una zona più commerciale che di residenti». A dispetto dei milanesi che in quelle vie ci abitano, mentre i cinesi spadroneggiano negli affari (diapositiva da via Giorgione: il 100 per cento delle attività è in mano loro). Per questi motivi si riscalda il clima in attesa del vertice di venerdì prossimo tra i rappresentanti cinesi e il sindaco Letizia Moratti, e non tranquillizza affatto la battutina finale del console: «Noi cinesi non siamo violenti, amiamo la pace, la nostra grande Muraglia ne è la testimonianza».
Come se non fosse abbastanza, ieri mattina, giorno dello shopping al dettaglio negli sgabuzzini per il resto della settimana all’ingrosso, i residenti hanno trovato sui muri di casa nuove mani di spray, rosse e nere. La firma degli estremisti sulla vicenda. Scritte razziste e croci celtiche da una parte («Cinesi a casa», «Fuori i cinesi da Milano), insulti alla polizia dall’altra («Documenti? Perquisizioni? Retate? Solo pietre sulla polizia», recita un murales da record, lungo una ventina di metri, in via Giordano Bruno). Forza Nuova contro autonomi dei centri sociali, pronti a trasformare Chinatown nel terreno della guerriglia tra opposte intolleranze.
Immediate le reazioni di sdegno di fronte a simili, pericolose, strumentalizzazioni. Ignazio La Russa, vicepresidente di An, non usa sottintesi: «Chi ha fatto le scritte xenofobe è certamente un deficiente, ma bisognerebbe accertare la verità. Cioè capire se gli autori sono davvero degli aderenti a quella forza extraparlamentare, oppure si tratta di qualcuno interno alla stessa comunità cinese. In ogni caso - aggiunge La Russa - qualcuno vuole inasprire gli animi e speculare. Noi vogliamo esattamente il contrario. Quella di Chinatown non è una questione di ordine pubblico, come per i rom, ma è un problema di legalità. Evitiamo che si creino una propria enclave in città. L’integrazione è più facile quando c’è maggiore dispersione in zone diverse della metropoli. Non ci sono italiani che non intendono accogliere: ci sono cinesi che non vogliono aprirsi».
Comunità cinese che ora rilancia di fatto la contrapposizione con le istituzioni, visto che diversi coordinamenti stanno per intraprendere le vie legali «contro il Comune e l’operato delle forze dell’ordine, impugnando la delibera che crea una zona pedonale in via Paolo Sarpi e ricorrendo al Tar per ogni sequestro illegittimo di carrellini». Minacce di esposti di cui si fa portavoce, peraltro, un’associazione di mediazione culturale - la «Alkeos» - nel mirino della Procura della Repubblica. Le querele dovranno tener conto di altre indagini. Quelle che il comando di polizia locale sta compiendo in questi giorni visionando il gran numero di video girati sulla guerriglia di giovedì e ascoltando i testimoni. Il nucleo radiomobile ha ormai ristretto la rosa degli aggressori a 10-15 individui, tutti cinesi, anche se ci vorranno ulteriori accertamenti per giungere alla denucia definitiva all’autorità giudiziaria. Le ipotesi di reato includono resistenza e violenza a pubblico ufficiale, danneggiamento e lesioni personali.
Clima per nulla riappacificato nonostante i richiami alla conciliazione espressi dal prefetto, Gian Valerio Lombardi, e dal questore, Vincenzo Indolfi.
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