Lilluminazione elettrica di Milano che non ce la fa a strozzare le luci dell'Orsa Maggiore. I toni gialli e rossi dell'autunno tra i rami del parco Forlanini. I caffè al banco. Via Bramante, via Mantegna. Le gite a Orta e poi su fino al Mottarone a picco sul lago Maggiore. La locanda Morigi: uno spezzatino, un bicchiere di Dolcetto, un altro caffè. Un uomo e una donna che camminano per strada, «sapendosi l'un l'altra vicini», ormai senza parole. O forse, chissà, l'un l'altra lontani. Il far della sera in certe vie inaspettatamente vuote. Una dimessa, ma persistente, esigenza di giustizia nel cuore. Arte, tanta arte: sfumature alla Rembrandt, alla Caravaggio, «lampi dal buio, sull'oro». Editoria, e anche qui: troppa editoria, ma necessaria. Quasi una fame. C'è tutto questo e molto più in uno dei migliori libri dell'anno: La morte segue i magi di Hans Tuzzi (Bollati Boringhieri, pagg. 312, euro 14). È il quinto della serie che ha per protagonista il commissario Melis, e colpisce per lo stile e la profondità: fa onore ai lettori di gialli, ma commuove i lettori di romanzi tout court per la bellezza sostenuta, intensa, discreta di molte pagine. I primi quattro Melis sono pubblicati da Sylvestre Bonnard, la stessa casa editrice per cui Hans Tuzzi - pseudonimo di Adriano Bon - ha pubblicato le sue celebri guide all'antiquariato librario. Incontriamo Tuzzi proprio nell'evocativa, ombrosa sede della Bonnard, dopo aver calpestato entrando nell'edificio (dove in cima abita Ornella Vanoni, stranamente silente: nessun canto) le durissime piastrelle di legno dell'ingresso, ricavate da tronchi tagliati di testa, come le tavole per la xilografia.
Sangue veneziano e francese nelle vene, lei è nato a Milano. E molti suoi libri vi ruotano intorno. E dentro.
«Il primo libro con protagonista il commissario Melis, Il maestro della testa sfondata, inizia nel 1978 e quest'ultimo appena uscito si ferma a poco prima della Strage del Rapido nel 1984. Tutti insieme sono il ritratto di una mutazione. Vi ho assistito tra la fine dei Settanta, quando il sogno di palingenesi dei figli dei fiori si incancrenisce nel terrorismo, e l'inizio degli Ottanta, quando prese piede quell'edonismo poi finito nella volgarità grottesca dei nostri tempi».
In tutto questo, la città.
«Milano soffre da sempre di una crisi di identità, fin dall'epoca napoleonica e prima ancora. Per questo si è inventata capitale morale, e poi capitale della moda, e poi si è creduta metropoli, senza averne la struttura o il temperamento. Vale comunque, nei secoli, la frase di Maria Teresa d'Austria: i ceti milanesi pensano solo ai loro affari. Forse per questo Milano non è mai riuscita a portare a termine nulla, tanto nei riassetti urbani quanto nei progetti culturali: qui ci sono i tre maggiori gruppi editoriali, ma nessun evento internazionale legato ai libri, che però non sono prodotti industriali. In questo sta il limite e la fragilità dell'editoria. E anche della città. Milano vive un po' di rendita sull'amore che le ha donato Stendhal».
Che però...
«Che però ne colse la verità: il fascino di Milano sta nei particolari, nelle atmosfere, intellettuali e climatiche. Tanto che la sua stagione ideale sarebbe... l'autunno del Medioevo. Il suo fascino sta in quei momenti dolcissimi e segreti che sprigiona inattesi, in questo struggimento che nel romanzo riprendo con un'espressione di storia dell'arte: Ouvrage de Lombardie».
E che il flâneur può cogliere dove, quando?
«Come non passare da Porta Romana senza ricordarsi che nel Seicento era la via più alla moda? E che l'Inquisizione segnalò - ne abbiamo i documenti all'Archivio di Stato - che lì aveva preso residenza nientemeno che Satana, che usciva dal suo palazzo su una carrozza rossa trainata da cavalli neri? Come non entrare dai bastioni di Porta Venezia da Buenos Aires senza pensare che lì vi era il lazzaretto? Giampaolo Dossena si divertì a indicare i luoghi precisi, con tanto di numero civico, dove si poteva trovare don Rodrigo morto o Lucia che pregava... Milano è questa stratificazione culturale, dove il modernissimo può stare, a quattro metri di distanza, vicino al Rinascimento. È unica in questo».
«La morte segue i magi» è pieno di punti interrogativi. È un interrogarsi costante sul vero e sul falso...
«Penso che ci siano una serie di domande a cui non si può dare una risposta, nel quotidiano come nelle grandi cose. Volevo, rispettando la struttura del giallo, che rimanesse nel lettore questa indecifrabilità del reale, questi margini di dubbio. Proust, a proposito dei Verdurin, dice che non bisogna condannare nessun uomo, perché anche il più disgustoso è capace di un gesto buono.
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