Alcol, droghe e musica: vi racconto il mio rave

Pubblicizzato su Facebook, ha attirato l'altra notte la solita folla di giovani. Molti malori e svenimenti, nella più totale assenza di ambulanze e polizia

Alcol, droghe e musica: vi racconto il mio rave

Candide, tre palle giganti di plastica gonfiata corrono sul prato del Lambro in viale Turchia tra i piedi di alcuni ragazzi. È l'una del mattino ed è da idillio la scena da lontano, ma nell'entrare nel prato l'atmosfera bucolica si trasforma in una selva di piccoli, dimenticati dannati. Siamo entrati nel giro del rave party, meglio nel «girone» sciverebbe Dante se avesse visto questi giovani che per ore si autodannano a prendere a calci la vita come fosse una palla gigante e di plastica, bianca come la polvere che in piccole bustine passa rapida di mano in mano, leggera come il fumo dell'erba, hashish e marijuana, piena di cocci rotti di bottiglie di superalcolici tracannati fino a che i piedi non reggono più il contatto con la terra. Oggi l'inferno non è una pena ma un divertimento, per questo è più difficile da individuare.

Il rave party del 26 luglio, convocato sulla pagina Facebook di Eduardo Maria Antivalle presso la tradizionale entrata di via Feltre alle ore 22.30 - lì dove ci sono i piloncini in acciaio divelti dai camion dei rave e poi rimontati con puntualità dal Comune - a tre ore dall'inizio viene spostato in un luogo più celato. Un rave in sordina, forse a causa della pioggia ma di certo perché all'ultimo minuto uno dei dj convocati ha dimenticato a casa un trasformatore e così invece dei tre palchi previsti, con relative band non pervenute, c'è un banco con delle tastiere.

Arrivano in processione i poveri dannati, dai quattordici ai trentacinque anni. Ci sono anche minorenni, sì, che si prostituiscono alla matrigna droga. Una processione felpata di ombre ordinate: passano da via Feltre, poi con cellulare alla mano aprono la pagina Facebook e senza proteste s'avviano in viale Turchia. Il cellulare d'ultima generazione e la verde bottiglia di birra: i due contrassegni da cui puoi riconoscere le ombre. Non c'è un'ombra di vino: solo la bionda Beck's, che due carretti di bagarini vendono a ben cinque euro a bottiglia alla faccia della crisi, oppure vodka, gin, whisky. I gradi della dannazione sono alti ma sono piccole, piccole le anime che la subiscono. Arrabbiate con se stesse al punto da spaccare i bidoni della spazzatura solo per una crisi d'ira, oppure remissive davanti al «dio» bong, una pipa tubolare in vetro che funziona ad acqua e erba e fa raggiungere uno sballo più acuto dello spinello, di fronte al quale un ragazzo, al limite dello svenimento per il forte malessere, si inginocchia, mentre altri cercano di strappargli il bong, preoccupati di un esito mortale.

Ma dove sono le ambulanze? Viene da pensare; viene da pensare alla Croce Rossa più che alle macchine della polizia, anch'essa assente, che dovrebbe controllare se il tutto accada con permesso da parte di chi si dovrebbe preoccupare della salute dei cittadini, soprattutto di giovani generazioni autodistruttive. «Una sera in una piazza ho suonato fino a mezzanotte - racconta il dj Yvs -. I ricchi cittadini volevano cacciarmi perché mi credevano un nessuno, ma avevo l'autorizzzaione di Pisapia». Ecco il nocciolo: la paura e la rabbia d'essere nessuno. E pensare che Ulisse si salvò perché disse a un ciclope con una grande palla come pupilla di chimarsi «Nessuno».

Le ombre dei rave si sentono «Qualcuno», meglio «Qualcosa», perché non sono uomini e donne questi giovani, ma «Cose» anche senza sesso, andando a un party pubblicizzato persino dal giornale «Leggo». Cose posate nel nulla, ma un nulla infernale su cui un preciso «Qualcuno» specula, ricavandone anche denaro.

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