Il Vaticano gli dedica un francobollo, Firenze una mostra. E Milano, alla biblioteca Ambrosiana, ne studia i libri e il pensiero con un'esposizione aperta fino al 21 gennaio, nella pinacoteca. Accadde 500 anni e qualche notte fa: Martin Lutero prese chiodo e martello e sul Duomo di Wittenberg affisse le sue celebri 95 tesi. «Sbagliano quei predicatori i quali dicono che grazie alle indulgenze papali l'uomo è salvato da ogni pena». Nel 1517 lui, monaco agostiniano, non voleva scismi né riforme, ma solo chiarezza su quel malcostume del «commercio del perdono». Eppure, dopo la cattività avignonese e lo scisma d'Oriente fu quella la cesura più grande in seno alla Chiesa.
Da noi fu un proliferare di concili, Controriforma e nuovi santuari sui sacri monti a rinsaldare la fede, respingendo a nord le lusinghe protestanti. Che invece, oltralpe, regalarono il celebre inno Ein feste Burg ist unser Gott Dio è una grande fortezza - moderna traduzione della Bibbia in tedesco, tutti gli accordi di Johann Sebastian Bach e i quadri dei Cranach, ma soprattutto un nuovo prolifico dibattito. Sola fide, sola gratia, sola scriptura: a salvarci sarà solo il dono della fede e non le opere, la grazia e la conoscenza senza intermediari delle Sacre Scritture. E poi ancora il servo arbitrio, il sacerdozio universale contro il primato del papa.
«Oggi è tempo di dialogo» spiega monsignor Franco Buzzi, che di Lutero e di Erasmo è grande studioso e ha deciso, con la collaborazione di don Francesco Braschi, di dedicare le prime sale del percorso espositivo a un piccolo vademecum alla Riforma protestante. «Per comprendere più quello che ci unisce rispetto a quello che ancora sembra dividerci, come ha detto Bergoglio in visita a Lund in Svezia, proprio un anno fa, all'apertura delle celebrazioni luterane». Già, prendi il senso del peccato: se pensi di essere salvato solo dalla fede, il peccato potrebbe contare meno. Buzzi ribalta la prospettiva: «Per un protestante si pecca anche con l'intenzione, da qui la rigidità, la severità di certi atteggiamenti». L'Ambrosiana è uno scrigno di reperti manoscritti e a stampa sul tema. Alcuni riportano giudizi, figli del tempo e poco lusinghieri per Lutero definito hostis fidei, nemico della fede, in un anonimo pometto latino del 1500. È fons et origo huius lernae, un'idra feroce a molte teste, in un elenco di uomini illustri del XVII secolo. Dall'epistolario di San Carlo Borromeo, spuntano le accorate lamentele di alcuni sacerdoti dei cantoni svizzeri, accusati di essere luterani mentre si erano solo lamentati che il vescovo di Vercelli avesse celebrato, in loro presenza, soltanto in italiano. Scene di vita quotidiana, come i Tischreden, i colloqui che gli allievi di Lutero raccoglievano a tavola, affiancando i testi ebraici del domenicano Sante Pagnini che, come Lutero, lavorò per tradurre il vecchio testamento. Ci sono poi documenti dell'ortodossia luterana come quelli di Leonhardt Huetter e Johann Gerhard. Infine i 24 volumi di Johann Georg Walch che redige la prima edizione settecentesca dell'opera omnia del riformatore.
«Con la Comunità milanese luterana il dialogo è aperto e fecondo e puntiamo conclude Buzzi a celebrare insieme il 2030, anniversario dei 500 anni dalla confessione augustana» che, oltre le 95 tesi, fu il punto di non ritorno. Almeno fino ad oggi.
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