C'è un buco nero nel boschetto di Rogoredo. E inghiotte tutto. Da anni è così. Inghiotte ragazzi e ragazze che hanno perso l'orizzonte, uomini e donne disperati, inghiotte la vita e la speranza. Per questo la storia di una mamma ucraina tossicodipendente che sui prati sporchi di siringhe dà alla luce un bimbo diventa il simbolo controverso di un luogo che è tutto e il contrario di tutto. Diventa speranza ma allo stesso tempo disperazione, luce e buio, vita e morte. Il boschetto di Rogoredo, dove ancora oggi quotidianamente mangiano, dormono e vivono ( se questa è vita...) ragazzi dagli occhi spenti alla disperata ricerca di una dose di eroina, è un non luogo infernale dove anche una nuova vita rischia di non essere una gioia. «Una ragazza che partorisce nel bosco di Rogoredo è il simbolo della disperazione massima a cui può portare la tossicodipendenza- spiega Antonio Boschini, responsabile terapeutico della Comunità San Patrignano- Ben conosciamo il dramma che vivono queste ragazze, che oltre a dover affrontare la loro dipendenza, nella solitudine e nel degrado che vivono, tentano di affrontare quei nove mesi che dovrebbero essere l'anticamera di un sogno, ma che spesso per loro si trasformano in un incubo. Nove mesi in cui purtroppo quella dannata dipendenza si mostra comunque più forte della gioia per la vita portata in grembo». La buona notizia in tutta questa disperazione è che la Comunità di San Patrignano, fondata nel 1978 e che da allora ha accolto oltre 26mila ragazzi, si è offerta per accogliere gratuitamente la mamma con il bimbo partorito Rogoredo e che ora sono ricoverati alla mangiagalli. Un piccolissimo spiraglio di luce dove luce non c'è: « Vogliamo immaginare che questa nascita possa essere una rinascita per la ragazza stessa da cui possa trovare nuova forza- continua Boschini- E' stato così per le tante mamme che abbiamo accolto con i loro bambini. Un percorso speciale, in cui hanno il doppio compito di ritrovare loro stesse e poi scoprire il loro essere madri sostenute da educatori e psicoterapeuti. Mamme che scoprono la felicità nel sorriso del loro bambino e imparano ad accettarsi con i loro pregi e difetti, inserite in un contesto protetto, ma in cui ritrovano tutte le difficoltà della quotidianità, dal dover gestire gli impegni di ogni giorno come accudire la casa e impegnarsi in uno dei settori di formazione della comunità, a quelli di accudire un bambino in base alle esigenze della sua età» Dal '78 ad oggi sono state 430 le ragazze con figli che grazie alla comunità hanno imparato ad essere madri.
«Per questo didamo la nostra massima disponibilità. Non ci interessa quello che è stato il suo passato, ma vogliamo guardare con fiducia al futuro suo e di suo figlio, convinti che la sua sofferenza possa trasformarsi in felicità»
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