La valigia di Achille era di legno. Gli angoli ben rinforzati in pelle e il rivestimento di tessuto resinato, resistente e impermeabile, lo stesso che si usava per il fondo delle tende, nei campi base. Nella valigia Achille teneva i suoi effetti personali, compreso un gagliardetto che avrebbe poi fissato alla piccozza quando si sarebbe trovato lassù, sulla cima del fino allora inviolato K2. Sul gagliardetto ancora oggi si legge, appena un po' sbiadito, «comune di Valfurva-Sondrio». Il bagaglio di Achille Compagnoni, che quest'anno avrebbe festeggiato il suo centenario, era tutto qui: scarponi di renna e opossum così lontani dall'attrezzatura ipertech cui siamo abituati oggi, e il ricordo di quel ruvido comune di montagna in cui era nato. Lo racconta Elda Mossini Compagnoni, moglie del grande alpinista. L'occasione è la mostra «Achille Compagnoni. Oltre il K2» che la Achille Compagnoni Onlus organizza al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano dal domani al 30 marzo.
Nato nel '14 a Santa Caterina Valfurva, Achille visse un'infanzia profondamente immersa nella natura. «Se Achille voleva sciare e scappare sui monti, prima doveva imparare le tabelline: il rigore e la costanza appresi da piccolo non lo abbandonarono più», dice Elda. Nemmeno quando, sessant'anni fa, si trovò a compiere una delle ascese più dure della storia dell'alpinismo: quella del K2, la montagna impossibile. Alla famosa spedizione sul Karakorum è dedicata gran parte della mostra milanese: per la prima volta sono esposti cimeli dell'epoca, oggetti, fotografie. Ci sono scatti noti, come quelli che fecero il giro del mondo per celebrare l'impresa, e le copertine di riviste come La Domenica del Corriere ed Epoca, che realizzarono per l'occasione ampi servizi a colori. Tra gli scatti inediti, spicca quella che ritrae Achille Compagnoni in cammino verso il campo base, circondato da una sorta di magica aura chiara: si tratta della tipica aureola che si forma in quota quando le temperature sono bassissime e il nostro corpo irradia un po' di calore in tutto quel gelo. Dal baule dei ricordi di Compagnoni giunge anche qualche foto privata, come quella del ritorno in patria dell'alpinista che abbraccia, all'aeroporto di Linate, Enrica, la prima moglie, e poi i figli Maurizio e Giordano, visibilmente emozionati. Compagnoni tornava da eroe: fu il primo ad aver immortalato la mitica vetta, da allora ribattezzata «la montagna degli italiani», in un celebre filmato di un paio di minuti fatto sulla cima e girato senza guanti (un gesto che gli costò il congelamento di due dita della mano). Il K2, 8.611 metri dal profilo talmente ripido da non permettere ripari o bivacchi sicuri, fu conquistato da Compagnoni e Lino Lacedelli, membri della spedizione voluta dal Cai e guidata da Ardito Desio, il 31 luglio alle 18 ore locali, dopo aver seguito la via dello Sperone degli Abruzzi tracciata da Luigi Amedeo di Savoia. Insieme alla gloria - la storia è arcinota - arrivarono le polemiche, scaturite dalle accuse di Walter Bonatti che all'epoca era un giovane partecipante alla spedizione incaricato insieme al pakistano Hunza Mahdi di portare le bombole con l'ossigeno utile a Compagnoni e Lacedelli all'assalto della vetta.
Questa mostra vuole lasciarsi alle spalle queste snervanti polemiche e celebrare il gusto dell'impresa in se stessa.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.