Cronaca locale

«Adesso faccio il vino È controcorrente proprio come me...»

Il cantante racconta la sua nuova passione: «Lo produco in un paesello colpito dal sisma»

Mimmo di Marzio

Una notizia buona e una cattiva. Quella cattiva è che, causa coronavirus, slitterà a data da destinarsi la cena «a quattro mani» che avrebbe visto la sera del 31 marzo affiancare allo chef stellato Claudio Sadler un personaggio non nuovo a colpi di scena: Elio delle Storie Tese, che per l'occasione avrebbe presentato al pubblico la sua ultima creazione, un... vino. La notizia buona è che il clima da coprifuoco non ha fatto perdere al mattatore del palcoscenico la proverbiale ironia; anzi, se possibile, l'ha rinvigorita.

Elio, come si sta chiusi in casa, lontano da tetri, sale prove e set televisivi?

«Da Dio perchè, nel marasma delle apparenti difficoltà, spuntano un mucchio di lati positivi che non si considerano quando si è stritolati dagli impegni. Il primo tra tutti è che finalmente mi godo i miei figli, due gemelli dai nomi impegnativi: Dante e Ulisse...».

Ma l'epidemia da coronavirus non la inquieta un po'?

«Posso dare una risposta sincera? No, eppure vivo a Milano, ma io 'sto virus non lo vedo, nel senso che non conosco nessuno che ce l'ha. E io di gente ne conosco tanta. Detto questo, sono un inguaribile ottimista e quindi sono certo che presto ne verremo fuori. Per il momento rilassiamoci».

Ma un po' non le mancano la musica, gli spettacoli, la lirica?...

«Beh, intanto la musica ce l'ho anche a casa, dove posso ascoltarla e studiare. Ma io mi considero pur sempre un privilegiato. In questa emergenza la vera mazzata l'hanno presa tutte quelle piccole grandi professionalità dello spettacolo che in Italia riescono a stento a sbarcare il lunario. Se gli si toglie anche quel poco, è un disastro vero».

Veniamo al motivo principale di questa intervista. Come le è venuto in mente di mettersi a fare il vino? La food-mania ha contagiato anche lei?

«Ma no, anche se musica e cibo sono sempre stati un'accoppiata inossidabile. Questa è una storia che parte da lontano, cioè dalle mie origini marchigiane (da parte di madre). Fin da piccolo si andava in vacanza a Grottammare, nelle vicinanze di San Benedetto, per poi fare base nel paesello di famiglia chiamato Cossignano. Proprio lì, tra quelle colline, decisi da grande di acquistare una casa che ho conservato gelosamente. Con una piccola vigna, appunto».

Si faceva già il vino?

«No, ma nel corso degli anni ho continuato ad occuparmene a distanza, anche se con l'uva ci perdevo solo soldi. Andava bene lo stesso. Poi un bel giorno una coppia di amici d'infanzia ha deciso di tornare da quelle parti, aprendo una vera azienda agricola dove oggi producono vini biologici di alta qualità. A quel punto ho affidato loro la mia vigna che produce un'uva Sirah rara in quella zona. I miei amici l'anno mischiata con uve Sangiovese bio e ne è venuto fuori il Gallo Otto, un rosso di grande pregio, modestamente parlando. Parte del suo ricavato va proprio al paesello di Cossignano, duramente colpito dal terremoto».

È vero che fate ancora la pigiatura tradizionale delle uve e il vino viene fatto maturare nelle anfore anzichè nelle botti, come nell'antica Roma?

«L'idea era di fare un vino di qualità con metodi totalmente artigianali, e infatti abbiamo prodotto non più di 800 bottiglie. D'altra parte tutto ciò è perfettamente in linea con Elio e le storie Tese, un prodotto rigorosamente artigianale, mai destinato al grande pubblico...».

Perchè gli ha dato quel nome, Gallo Otto, invece che... vino Elio?

«Dare un nome a un vino è quasi più difficile che farlo. In realtà non ci tenevo affatto ad intitolarlo a me stesso come hanno fatto altri personaggi. Perchè Gallo Otto? È la vecchia leggenda di un gallo che viveva in quelle campagne... No, scherzo, è solo il nome dell'indirizzo della vigna...».

Ma alla cena con il suo vecchio amico Sadler, quando finalmente si farà, cucinerà anche lei?

«Non sono in grado, è Sadler che mi vuole in cucina perchè preparerà una cena marchigiana, ma io penso che farò il lavapiatti».

Ma la cucina le piace o no?

«Eccome. Ero un grandissimo amico di Gualtiero Marchesi che un giorno volle che gli registrassi La Gagarella del Biffi Scala sulla sua segreteria telefonica. È una vecchia canzone milanese di Giovanni D'Anzi, l'autore di O mia bela Madunina».

In vita sua ha fatto di tutto, ha perfino giocato in serie A2 di baseball. Strano sport, come mai?

«È una passione nata con Faso, il bassista delle Storie Tese. Perchè strano? Diciamo che è poco comprensibile, controcorrente. Un po' come noi...».

E poi è laureato in ingegneria elettronica. Chi l'avrebbe mai detto, un artista guitto come lei?

«È un comune preconcetto che confonde gli ingegneri con i ragionieri. L'ingegneria è la forma mentis più aperta che ci sia...».

Lei che è interista sfegatato, l'altra sera ha visto la partita con la Juve?

«Assolutamente no. Il coronavirus mi ha insegnato che si può vivere benissimo anche senza calcio...

».

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