«Le indagini dirette dalla Direzione distrettuale antimafia di Milano mostrano che la ndrangheta in Lombardia si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, nel quale gruppi delinquenziali autoctoni si limitano a riprodurre modelli di azione dei gruppi mafiosi, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di colonizzazione, cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso in Lombardia». È una parola inquietante, «colonizzare». Ed è lo spaccato che emerge dalle motivazioni della sentenza con cui il gup Roberto Arnaldi ha concluso il processo con rito abbreviato a carico di 110 imputati coinvolti nellinchiesta sulla penetrazione delle cosche nella regione.
Secondo la ricostruzione fatta dal giudice, i mafiosi di seconda generazione hanno acquisito un buon grado di autonomia rispetto alla famiglie calabresi. Trovando in Lombardia un terreno fertile in cui mettere radici. E soprattutto, molti affari da concludere. «La ndrangheta si è radicata - scrive ancora Arnaldi -, divenendo col tempo unassociazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla casa madre con la quale, però, continua ad intrattenere rapporti molto stretti. La struttura ndranghetista si presenta organizzata in una Provincia, tre sub strutture operanti in tre precise aree calabresi e nelle locali, composte a loro volta da una o più famiglie (dette ndrine), mentre in Lombardia risultano operare le locali denominate Milano, Cormano, Bollate, Bresso, Corsico, Legnano, Limbiate, Solaro, Piotello, Rho, Pavia, Canzo, Mariano Comense, Erba, Desio e Seregno». Eccola, la mappa della malavita.
Spiega inoltre il gup, che «sul territorio lombardo vi è anche unautonoma struttura di livello intermedio, denominata Lombardia dagli stessi imputati, che è una struttura di coordinamento delle locali lombarde, emersa già nella indagine denominata Nord-Sud e fin dagli anni 90 dalle indagini calabresi: in particolare nellindagine cosiddetta Armonia si dà conto di una lunga conflittualità tra La Lombardia e la casa madre, poiché gli esponenti di vertice delle cosche calabresi si sarebbero rifiutati per lungo tempo di riconoscere identico valore alle doti degli affiliati delle locali originarie rispetto a quelle di cui venivano insigniti gli affiliati lombardi». Ma «i membri lombardi delle ndrine sono da lungo tempo radicati al nord, dove risiedono stabilmente e ciò ha consentito una perfetta conoscenza del territorio e delle persone con cui gli stessi hanno rapporti». Un radicamento che porta ad avere contatti pericolosi anche con la politica. «Ci si riferisce in particolare - sottolinea il gup - ai contatti avuti con Alessandro Figliomeni, sindaco del Comune di Siderno, e con il sottosegretario alla Regione Lombardia Angelo Giammario».
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