Affogati nei fiumi, 39 i morti Si indaga su sicurezza e divieti

Un fascicolo di quelli che in genere si chiudono senza neanche aprirli: morte accidentale. D'altronde quello dei morti affogati è il macabro rito dell'estate lombarda. Quasi sempre stranieri, quasi tutti giovani: il tuffo nel Ticino o nell'Adda, nelle giornate su cui picchia il sole implacabile d'agosto. E poi i racconti tutti uguali: «All'improvviso è andato a fondo». Ma sabato scorso di turno in Procura c'era un sostituto procuratore napoletano, Maurizio Ascione, che a questa catena di morti non ha ancora fatto il callo, non la considera un evento inevitabile dell'estate come le zanzare o le code ai caselli. E ha aperto un'inchiesta per omicidio colposo sulla morte di Carole, la ragazzina ivoriana morta nel Ticino, tra Turbigo e Galliate, il pomeriggio del 4 agosto.
Neanche il tempo per Ascione di aprire il suo fascicolo, e martedì il Ticino inghiotte un altro ragazzo, stavolta un cinese, Zhong: nello stesso identico punto dove è morta la ragazzina. La grigliata sul greto, i giochi, il tuffo, la morte. Perché muoiono solo gli stranieri? Perché sono la maggioranza, «il settanta, l'ottanta per certo - calcolano i vigili di Turbigo - di chi fa il bagno sul fiume». Ma anche perché sanno nuotare male, o non sanno nuotare affatto. E perché non conoscono le insidie del fiume, che per chi è nato da queste parti sono famigerate.
Già, le insidie del fiume. Ma quali sono, poi, esattamente le trappole del Ticino? C'è la temperatura, che scende di colpo: a riva, dove ristagna, l'acqua è tiepida, ma poco più in là la corrente è gelida, a sedici, diciassette gradi; ci sono le buche improvvise; ci sono i molinelli creati dai piloni. In questi giorni il Ticino è al Dmv, il deflusso minimo vitale: significa che gli si lascia giusto l'acqua necessaria a far vivere i pesci, il resto è deviato nei campi assetati. Ma si riesce a morire lo stesso.
Non c'è una statistica dei morti in Ticino. Dall'inizio dell'anno, i sommozzatori dei vigili del fuoco di Milano hanno ripescato dai fiumi e dai laghi lombardi trentanove affogati. D'inverno annegano solo subacquei e suicidi. D'estate annega chi non può andare in vacanza. Si annega sul Garda, sul Brembo, sull'Adda. Ma il fiume maledetto è il Ticino. Non c'è tragedia che possa servire da lezione. Nel 2002 un operaio di Milano morì da eroe, per salvare tre bagnanti che erano stati travolti dal fiume. Ne parlarono i giornali, il cardinale celebrò i funerali in diretta tv. Non servì a niente. Due giorni dopo la gente era di nuovo lì, a fare il bagno, e dal fiume riaffiorò un nuovo corpo.
Ora l'inchiesta di Ascione cambia la prospettiva. Non è solo il caso o l'imperizia a spiegare queste morti. Se la catena delle tragedie è costante, si deve fare qualcosa per impedirla. Il pm ha ordinato l'autopsia della ragazzina africana per avere la certezza delle cause della morte. Ma nel frattempo sta appurando a chi appartengano le sponde del fiume, e a chi spetti il controllo su di esse. Se fare il bagno nel fiume è pericoloso bisogna proibirlo, questa è la linea della Procura: e il divieto deve essere fatto rispettare effettivamente, non semplicemente affidato a qualche cartello. Al consorzio Parco del Ticino dicono che al consorzio spetta solo raccogliere i dati dalle Asl, per sapere se il fiume è inquinato, e che eventuali divieti per motivi di salute o di sicurezza spettano ai comuni che si affacciano sul Ticino.

A Turbigo, il comune più colpito, fanno sapere che in effetti il divieto di fare il bagno c'è, che in passato erano stati messi dei cartelli, ma che sono stati tolti non si sa da chi; e che comunque verranno ripristinati: in più lingue, dal cinese all'arabo allo spagnolo, gli idiomi di questo melting pot che d'estate si raduna sul greto trasformato in lido: e che anche ieri era lì, ignaro o incurante delle due tragedie dei giorni scorsi.
Per ora l'inchiesta di Ascione è a carico di ignoti: ma non è detto che resti tale a lungo.

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