Bisogna sapere che Gerardo D'Ambrosio era l'unico, del pool Mani Pulite, a non nutrire un disprezzo di fondo per la politica, a non sentirsi antropologicamente superiore agli eletti dal popolo. Così quando scelse di fare anche lui politica, direttamente, di farsi eleggere e di andare in Parlamento, fu per lui un passo naturale. Ma ne rimase deluso.
Ieri il funerale di D'Ambrosio, come ogni funerale non è l'occasione adatta per analizzare. C'è la commozione, c'è quel po' di inevitabile retorica. Ci sarà tempo forse in futuro per una ricostruzione obiettiva di un aspetto cruciale dell'esperienza di Mani Pulite: le dinamiche e gli equilibri interni al pool, la loro influenza sull'andamento delle indagini. Non erano tutte rose e fiori. La accortezza con cui il procuratore Francesco Saverio Borrelli compose la squadra permise che per almeno due anni, fino alle dimissioni di Antonio Di Pietro, la sostanza (e soprattutto l'apparenza) fosse quella di una compattezza di fondo. Ma caratteri, storie personali, convinzioni dei magistrati del pool erano diverse. Come quando si trattò di inviare il primo avviso di garanzia a Berlusconi: D'Ambrosio era contrario, e anni dopo lo scrisse in un libro. Borrelli lo affrontò livido: «É una menzogna, abbiamo deciso tutti insieme».
Di quello scontro, ovviamente, ieri non si parla più. Borrelli è in toga, accanto alla bara, un picchetto d'onore in cui si avvicendano gli altri del pool e magistrati qualunque. Unica traccia di lacerazioni che il tempo non ha sopito, è l'assenza vistosa di un volto dal picchetto d'onore: Di Pietro. Il primo investigatore di Mani Pulite è a distanza, oltre le transenne, tra i curiosi e le telecamere. «Ho scelto io di restare in disparte, visto che sto facendo campagna elettorale», spiega poi «Tonino». Ma è difficile non pensare ai vecchi dissapori, colpa di Berlusconi, che una volta raccontò di avere ricevuto da Di Pietro una confidenza simile a quella di D'Ambrosio: anche Tonino sarebbe stato contrario all'avviso di garanzia. «O smentisci subito, o non ti fai più vedere a palazzo, perché io ti faccio volare dalle scale», disse Borrelli. Di Pietro non smentì, e a palazzo di giustizia non si fece più vedere fino alla fine dell'era Borrelli.
«D'Ambrosio era un uomo mite», ha detto l'altro ieri il presidente della Corte d'appello Giovanni Canzio: ed è forse, tra tante frasi di circostanza, la pennellata che ritrae meglio la peculiarità del coordinatore del pool. Fare il pubblico ministero significa dare la caccia alla verità, ma anche ai colpevoli: e siccome i colpevoli sono anche delle persone, sbatterli in galera richiede un po' di scorza dura. Ma al cinismo D'Ambrosio non si era mai lasciato andare.
L'altro giorno, in un corridoio del tribunale, un magistrato si lamentava con una collega: «un giorno senza arresti è come un cielo senza sole».
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