Un altro schiaffo, il Giro divorzia da Milano

Faranno un Giro largo, lontano da Milano, la città che diede i natali alla corsa ciclistica più importante d’Italia e del mondo, seconda soltanto al Tour. Non sappiamo che Giro sarà, probabilmente sarà ricco di montagne e tappe da leggenda, ma di certo si sa che Milano non sarà nemmeno lambita. Milano senza il Giro. Non succedeva da vent’anni, accadrà di nuovo il prossimo anno. Una città che guarda alle biciclette (bike sharing: un successo!) e non al ciclismo, alla viabilità e non alla cultura di un Paese in movimento. La città in cui il Giro d’Italia è nato il 13 maggio del 1909 dovrà accontentarsi, questa volta, di far da madrina alla sua creatura rosa, la cui edizione sarà presentata sabato 24 ottobre negli studi East End di via Mecenate, quelli in cui si registra X Factor. Un vernissage in un tempio della tv, un battesimo in pompa magna davanti alle telecamere e poi addio, le strade del Giro e della sua città si divideranno. Già lo scorso anno Milano aveva rischiato di perdere la corsa proprio nell’edizione del Centenario: partenza dal Lido di Venezia, conclusione a Roma, in sospeso fino all’ultimo una tappa tutta milanese che avrebbe dovuto rappresentare la grande festa del Giro e che invece si è conclusa con una farsesca rappresentazione dei corridori che hanno inscenato uno sciopero semplicemente ridicolo. Il gruppo che si ferma, in corso Venezia, Di Luca, quel giorno in maglia rosa, che parla a nome dei corridori: «Dovete capirci, su queste strade non ci sono i requisiti minimi di sicurezza», dice davanti ad una moltitudine di sportivi sconcertati. Brutta figura. Milano non ride, gli organizzatori - le vere vittime - ancor meno. C’è un rapporto complicato con la città che non ha mai mostrato un grande amore verso il Giro, rendendo spesso la vita difficile agli organizzatori e non entrando mai nell’ordine di idee di trasformare l’arrivo in un vero e proprio «evento», con manifestazioni collaterali e di promozione dell’uso della bicicletta che invece in quella sede avrebbero trovato la loro collocazione naturale. Milano senza il Giro, nemmeno di passaggio per un arrivo di tappa o un saluto. Dopo quaranta partenze (su 91 edizioni) e addirittura 73 traguardi finali. La prima volta di Milano senza Giro risale addirittura al 1949, con il Paese ancora in piena ricostruzione dopo la Grande Guerra: quel Giro partì con la Palermo-Catania e si concluse a Monza con il trionfo finale di Fausto Coppi. L’anno seguente Milano ritrovò il Giro con la partenza della prima tappa e ospitando nuovamente i girini a metà percorso: decima tappa, la Bolzano-Milano vinta da Mario Fazio e poi il giorno seguente il via della Milano-Ferrara che avrebbe esaltato Adolfo Leoni nel primo Giro vinto da uno straniero, lo svizzero Hugo Koblet. Da allora Milano è rimasta senza Giro nel 1966 (vittoria di Gianni Motta), nel 1968 e nel 1970 con due successi di Eddy Merckx. Poi ancora dal 1986 al 1989 con le vittorie di Visentini, Roche, Hampsten e Fignon. Da allora, dal 1990 il Giro e Milano avevano ritrovato il loro feeling. Feeling con la città e la sua gente, molto meno con le istituzioni. E allora ecco che il Giro si rimette in marcia cercando una nuova culla e rispondendo alle nuove esigenze che impongono i bilanci: è lungo l’elenco delle città che si sono candidate per ospitare la conclusione della corsa più amata dagli italiani, logico quindi che l’addio a Milano diventi inevitabile.

Quella Milano che, dopo aver tenuto a battesimo l’edizione numero 92 della corsa rosa tra due settimane, saluterà il suo Giro e scoprirà ­ suo malgrado ­ di non essere più la città da bere, e si renderà conto di non avere nemmeno più la borraccia.

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