Cronaca locale

«Amo recitare Eduardo L'unico che sapeva far ridere sulla morte»

L'attore debutta al Parenti con «Dolore sotto chiave» e «Sik Sik l'artefice magico»

Andrea Bisicchia

Oltre trent'anni separano Dolore sotto chiave (1964) da Sik-Sik, l'artefice magico( 1932) che Carlo Cecchi ha deciso di accostare, avendo individuato, in entrambi i testi, un differente uso della finzione, quella macabra del primo che si trasformerà in commiserazione e pietà e quella farsesca del secondo utilizzata per sopravvivere alla miseria. Il dittico avrà una lunga programmazione nella Sala A del Parenti, da oggi al primo Marzo.

Cecchi è molto legato a Eduardo e alla sua particolare comicità che nasce direttamente dai bisogni della vita, quella che rivendica Rocco a sua sorella che, per 11 mesi, gli ha nascosto la morte della moglie, chiudendo «sotto chiave» il suo dolore e quella di Sik-Sik che fa ricorso alla magia, da non intendere, però, come illusione, bensì come pratica di vita e, pertanto, di sostentamento.

Abbiamo chiesto a Cecchi in che modo si possa ridere della vita e della morte, insomma, perché l'uomo ha bisogno di ridere?

«Perché il riso è una forma di intelligenza, ma anche un farmaco che libera dalle malattie quotidiane».

Il riso non ha più bisogno delle maschere?

«Ne aveva bisogno al tempo della Commedia dell'Arte. Poi arrivò Pirandello che propose la nudità della maschera a cui fece da controcanto Eduardo, per il quale, la maschera non è nuda, ma viva».

Come si può definire l'attore comico?

«Compito dell'attore comico è creare la scissione che si viene a creare tra improvvisazione e imitazione a vantaggio della verità che va ricercata nei meandri della comicità dove si trova un po' di tutto. A dire il vero, oggi non c'è più bisogno di maschere per imitare gli umani, sono già essi stessi maschere; non è, però, un problema di mimesi, bensì di evidenziare situazioni e caratteri che cercano di evitare la ricerca della verità che coincide con la realtà drammatica del vivere quotidiano alquanto umoristica».

Quale tipo di comicità preferisce?

«Esistono forme diverse di comicità, quella ironica, quella trasgressiva, costruita su battute fulminanti, quella tragica, per la quale, come in Dolore sotto chiave, occorre una certa elaborazione, così come si elabora il lutto. C'è poi quella farsesca, come in Sik-Sik che preferisco perché la più difficile, perché dietro di se c'è sempre un dramma incombente. In questi casi, la comicità assume una funzione sociale, in quanto mette in correlazione l'individuo con un gruppo, nel nostro caso lo spettatore che partecipa all'evento che ha suscitato il riso, che cerca, a suo modo, di reagire e di riflettere».

Si può associare il riso a una forma di piacere?

«Il riso genera gioia e buon umore, nel senso che produce un certo distacco dalle forti emozioni, permettendoci di dissimulare i nostri fallimenti, le nostre contrarietà, persino le nostre immoralità. Lo si usa nelle relazioni sociali, durante certe discussioni che rendono più gradevole le relazioni».

Come si declina il riso?

«Attraverso una specie di ritualizzazione che è anche frutto di relazioni sociali, a cui facevo riferimento. Il riso addolcisce i contatti e crea legami, è anche capace di sdrammatizzare essendo in possesso di una alchimia particolare, spesso complice del ridicolo, proprio come in Sik - Sik».

Col riso si può distruggere una persona?

«Solo quando si è dinanzi all'irreparabile. In altri casi, il riso è una forma di protezione per resistere alle avversità della vita».

La durata del riso è molto breve.

«La sua intensità è pari a quella del piacere, nel senso che, dopo averlo procurato, svanisce».

Eduardo riscrisse «Dolore sotto chiave» per Franco Parenti, dopo l'edizione radiofonica del 1958, inoltre egli amava molto Andrée Shammah. Le diceva: sei una regista vera...

«Non per nulla scelgo sempre il Parenti per recitare Eduardo».

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