Cronaca locale

«Con Andreotti tutti muti Poi Bossi e lo Jägermaister»

I suoi Amici della lirica invitano i vip per beneficenza «La prima della Scala? Un circo, quest'anno non vado»

Andrea Radic

Dal maestro Riccardo Muti a Roberto Bolle («che ansia fino alla data, poi è venuto con la famiglia al completo»), Giulio Andreotti che «veniva sempre in treno, con lui non volava una mosca». Indro Montanelli «mi dissero che alle dieci sarebbe andato via, c'erano tutti compresa Diana Bracco, è rimasto fino all'una». Fino a la senatùr Umberto Bossi e quest'anno il ministro dell'Interno e vice premier Matteo Salvini. Daniela Javarone, li ha messi a tavola tutti con l'associazione Amici della lirica di cui è presidente.

A Milano come si vive, le chiedo nel salotto della sua casa elegante e accogliente tra foto, premi, riconoscimenti e ritratti.

«Dopo la mia famiglia il mio amore è Milano, da sempre. Quando viaggio, non vedo l'ora di tornare. Mi piace d'inverno come d'estate, mi piace come si vive, la sua evoluzione, ultimamente un vero botto, se poi arrivassero anche le Olimpiadi... Una metropoli a livello mondiale».

L'ultimo pranzo lo ha organizzato in onore di Salvini.

«Salvini è cresciuto con gli Amici della lirica, ha cominciato a frequentarci che aveva 17 anni con Bossi e il marchese Litta. La sua presenza scatena entusiasmo, una delle serate più riuscite. Ma i politici li abbiamo inviati tutti, D'Alema, Casini, Veltroni, Bertinotti».

Chi sono e cosa fanno gli Amici della lirica?

«Fondata dal marchese Alberto Litta Modignani nel 1979 è la più antica associazione di lirica italiana, abbiamo avuto una costante evoluzione. Un grande gruppo, me ne occupo dal 1994, quando il marchese mi diede fiducia».

Quali obiettivi vi ponete?

«La mia è una storia particolare. Pensi, ho avuto tre estreme unzioni, ero quasi di là, ma il Padreterno mi ha sempre ricacciato indietro. Ma tutto è cambiato quando il mio adorato fratello, a 42 anni, ci ha lasciati di colpo. Ho cominciato a pormi delle domande, sentendomi chiamare (dedicati agli altri, ne hai le possibilità, aiuta il prossimo), una forza più grande di me che ho ascoltato. Da allora il ricavato di ogni nostro evento va ad un'associazione diversa, ne abbiamo aiutate decine. Vado personalmente e verifico come vengono usati i soldi. Poi dodici anni fa ho incontrato sulla mia strada Mario Furlan e sono diventata la madrina dei City Angels che si occupano dei disperati senza dimora».

Lei chiama gli amici della lirica «il mio popolo».

«È vero, mi seguono entusiasti. Se li invitassi a mangiare alla Bovisa in mezzo ai binari verrebbero tutti. In trent'anni saranno passate da noi 40mila persone. Nascono amori, affari, amicizie».

Si sente fortunata?

«Come un panettone che lievita».

La sua Milano?

«Frequento sempre gli stessi posti che amo. Se esco un po' mi perdo e allora chiamo Mario, mio marito e mi faccio venire a prendere»

E la Milano gastronomica?

«Il Baretto, quando sono lì sono felice. Poi un ristorante aperto da poco, Giuliano a Milano, fantastico, del mio amico Alessio Sassi, la mamma è una grande cuoca. Una meravigliosa famiglia di Cesenatico. L'ultimo San Valentino lo abbiamo festeggiato lì, un gruppo di amici e il ricavato ai City Angels»

Il dopo Scala esiste ancora?

«Le prime della Scala sono ormai un disastro completo. È cambiato tutto. Ho ricordi meravigliosi del passato, il periodo del boom economico, quella della contestazione, ricordo la presenza di John John Kennedy, poi il periodo di Tangentopoli con l'ordine di vestirsi molto sobri. La prima è un termometro del periodo che vive la città».

E oggi?

«Oggi è un circo equestre, usato solo per farsi pubblicità. Chi si scrive sulle braccia, chi arriva con abiti improponibili, osceni, buoni per donnette rampanti».

Un giudizio piuttosto duro.

«Mi sa che il prossimo anno non ci vado».

Il suo rapporto con il cibo?

«Drammatico perché sono golosissima e adoro le bollicine, ogni scusa è buona per un calice. Mi piace mangiare porcherie, pizza e maionese. Evelina Flachi, la mia dietologa, me ne dice di tutti i colori. Quest'anno compio settant'anni non posso arrivarci come una balena, se non faccio la sua dieta mi toglie il saluto. Ma mangiare è troppo bello. Non ho carenze, sono attorniata da amore, dovrei essere più equilibrata, lo so, ma quando vado da Alessio al Baretto e mi porta i suoi frittini...».

In cucina o a tavola?

«A tavola. Non amo cucinare, ho fatto scuole di cucina ad altissimo livello, sono piena di medaglie, ma mi stufo. Appena sposata preparavo grandi pranzi, la mia tavola era famosa per ricchezza e gusto. Ora che siamo nonni dico al mio Mario, che chiamo scherzosamente il mio sottosegretario, dai usciamo».

Il profumo dell'infanzia?

«Mitsouko il profumo che usava mia mamma».

E il sapore?

«Mia mamma è stata una delle prime donne manager, ma in casa cucinava alla grande, faceva il gelato nel mastello di legno con una manovella che girava e girava. Un sapore che non ho più ritrovato».

L'amore per la lirica?

«Da mia nonna Rosa Magistroni di Monza, aveva studiato al conservatorio, un talento del canto. Ma si innamorò del Magistroni, un grande industriale brianzolo. E la moglie di un grande industriale non doveva cantare. Fu lei a farmi incontrare il marchese Litta grazie al quale entrai in questo mondo che adoravo. Lui mi chiese di aiutarlo e non mi sembrò vero».

Chi l'ha più colpita tra i grandi personaggi?

«Renata Tebaldi, era così felice di avere un'amica giovane come me. Una voce unica al mondo, ditemi che sono pazza, ma tra lei e la Callas non c'è paragone».

Qualche aneddoto super vip?

«Vidi Bossi alla televisione e dissi al Litta Dobbiamo invitarlo. Scoprimmo che aveva il suo ufficio in viale Arbe dove c'era la famosa segretaria Lia. Onorevole vorremmo organizzare una serata in suo onore al Biffi Scala, ha aperto l'agenda e via. Al suo tavolo la contessa Castelbarco, nipote di Toscanini, Giulietta Simionato, Valentina Cortese, Enrica Invernizzi, tutte ingioiellate e il Dino Franzin».

Come andò?

«Dieci minuti ed erano tutte innamorate di lui. Abbiamo fatto mattina con gli aspirapolvere che già pulivano e lui che beveva Jägermaister. Era il 1994 e sdoganammo Bossi».

La cosa più difficile di queste serate?

«Comporre i tavoli e prevedere simpatie, antipatie, ruggini».

Il suo luogo del cuore?

«Milano. Non potrebbe essere da nessuna altra parte

La cena romantica è ancora vincente?

«Lo è l'amore. Risposerei mio marito mille volte e spero di morire prima di lui, non potrei sopravvivere senza. La cosa più bella del mondo è invecchiare insieme.

La solitudine è la malattia più grave che esista, non si può guarire».

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