Gli archeologi milanesi scoprono in Egitto il leopardo della «forza»

Piacentini e il suo staff nell'antica necropoli di Assuan: «Il felino proteggeva i defunti»

Marta Calcagno Baldini

Chissà quanti amuleti oggi si potrebbero ricavare dai simboli usati nell'antico Egitto per aiutarci a superare queste settimane in cui tutta la Lombardia sta reagendo alle ansie causate dal Coronavirus. Intanto, grazie alla professoressa archeologa Patrizia Piacentini, dal 2005 ordinaria di Egittologia e Archeologia egiziana presso l'Università degli Studi di Milano, può essere utile ricordare che il leopardo nell'antico Egitto era simbolo di forza e determinazione.

Il tema si apre perché lo scorso 21 febbraio al Salone internazionale dell'Archeologia e del Turismo Culturale a Firenze sono stati presentati due particolari ritrovamenti degli scavi che la professoressa Piacentini, modenese di origine ma «sono a Milano da 27 anni e mi sento una egittologa meneghina», con l'Università degli Studi sta guidando nella necropoli di Assuan, l'antica Elefantina, una città di 300mila abitanti a Sud dell'Egitto.

Si tratta di due ritrovamenti nella tomba di una ricca famiglia egizia all'interno della necropoli: un muso di leopardo dipinto su tavola di acacia, che probabilmente si trovava in prossimità della testa sul coperchio di un sarcofago, e dei resti di pinoli, semi molto rari e preziosi in Egitto. Il leopardo doveva proteggere il defunto nel suo viaggio nell'Aldilà in quanto simbolo di forza, e il restauro digitale presentato a Firenze ha mostrato un gioiello di eccezionale bellezza che in Egitto verrà realizzato sul reperto stesso, inamovibile.

La squadra milanese infatti fa i rilievi, li studia in Italia in formato digitale e sul posto realizza poi il restauro effettivo: «Il supporto ligneo del II secolo a.C. era fragilissimo, la sabbia si era infilata nelle fibre, quindi abbiamo deciso di staccare lo stucco per salvare il disegno: un'operazione molto delicata che ci ha tenuti col fiato sospeso, avevamo le lacrime agli occhi» commenta la Piacentini, anche perché «sebbene il leopardo fosse un simbolo frequente in Egitto, è raro trovarlo dipinto».

Anche i pinoli sono un elemento insolito: sono stati rinvenuti in una stanza accanto al sarcofago, come se il defunto potesse andare a cibarsene per rigenerarsi. «L'uso di questi semi era conosciuto ad Alessandria d'Egitto per la preparazione di salse e piatti - ha spiegato la coordinatrice dello studio -. Di sicuro erano un bene di lusso e dimostrano come la tomba appartenesse a personaggi di rilievo. Ci piace immaginare che i parenti ne avessero depositato una ciotola per l'eternità».

I pinoli aiutano a collocare la tomba nel I secolo d.C.: se ne conosce infatti la presenza da quell'epoca, e possono portare a pensare che il defunto avesse contatti con i romani. Se quella in cui sono stati trovati i due reperti orora restaurati era una tomba di famiglia, la Necropoli di Assuan-Elefantina, di oltre 25mila metri quadri, ne ospita al suo interno più di 300.

È stata scoperta tra gennaio e febbraio 2019 sempre dalla professoressa Piacentini con la missione di scavo italo-egiziana EIMAWA 2019 (Egyptian-Italian Mission at West Aswan): si trova nella zona circostante il Mausoleo dell'Aga Khan ad Aswanson. È stata un ritrovamento fondamentale perché si conosceva la vita degli abitanti di Elefantina-Assuan grazie a papiri e altri resti materiali, ma non il luogo dove fossero stati sepolti.

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