«Un arresto senza senso E mi fa ribrezzo chi esulta per il carcere»

L'avvocato dei centri sociali e capogruppo di Sel in Comune: «Perché Mantovani in cella ora?»

«Certo, se nel mio post avessi inneggiato alle manette sarei stato sommerso di like e di commenti entusiasti. Ma, francamente, non mi interessa. Avrei pensato e scritto le stesse cose se al posto di Mantovani ci fosse stato chiunque altro».

Mirko Mazzali, avvocato e capogruppo di Sel in consiglio comunale, in questi giorni ha preso tutti in contropiede, prendendo apertamente le distanze della decisione di arrestare Mario Mantovani, vicepresidente della Regione ed ex assessore alla Sanità, accusato di concussione e corruzione.

Mazzali, i suoi compagni e i grillini festeggiano, lei invece fa il bastian contrario.

«Non si può festeggiare quando una persona finisce in galera, perché il carcere è dolore, e festeggiare il dolore altrui è sempre indegno».

Il Movimento 5 Stelle si è presentato in aula con le arance.

«Che si possa fare addirittura dell'ironia su un essere umano in cella mi fa ribrezzo»

Lei però non si è limitato a criticare lo stile delle reazioni politiche. Ha anche avanzato seri dubbi sulla opportunità dell'arresto di Mantovani, soprattutto per la inverosimile distanza di tempo trascorsa tra la richiesta del provvedimento di cattura da parte della Procura, e l'ordine del giudice. É passato più di un anno.

«Io mi limito a fare un ragionamento: se c'erano davvero le esigenze cautelari, se si doveva mettere Mantovani nelle condizioni di non nuocere, non si poteva aspettare un anno. Se siamo di fronte ad una persona che oggi la Procura e il giudice sostengono che sia pericolosa, perché le si è consentito di continuare fare il vicepresidente della Regione? Ma se invece questa persona non era pericolosa, e quindi si potevano fare le cose con calma, perché adesso la si arresta? Fatico a cogliere il senso di questa decisione».

A Palazzo di giustizia spiegano che a causare l'allungamento dei tempi è stata la carenza di organici. I giudici sono pochi, le richieste di arresto sono tante.

«Ecco, forse è proprio quest'ultimo il problema. Si arresta con molta, con troppa facilità. Quando il nuovo codice di procedura penale è stato varato, nel 1989, si affermò un principio che ricordo bene: il carcere preventivo è l' extrema ratio , il sacrificio delle libertà individuali che è accettabile solo quando una altra strada non c'è. Ecco, io vorrei che si ripartisse da lì».

Secondo lei nel caso di Mantovani si poteva fare a meno dell'arresto?

«Se un politico è accusato di avere compiuto dei reati utilizzando la sua carica pubblica mi pare ovvio che nel momento in cui si dimette dalla carica non possa più continuare a commettere delitti. Quindi viene meno il pericolo di reiterazione del reato e l'esigenza dell'arresto».

Eppure, anche se con tempi biblici, un giudice ha accolto la richiesta della Procura. Quanto contano, nelle migliaia di arresti che vengono ordinati in un tribunale come quello di Milano, la contiguità tra pubblici ministeri che chiedono e giudici chiamati a decidere?

«La situazione è migliore rispetto ai tempi di Mani Pulite, e comunque non si può generalizzare. Però è lecito chiedersi se la separazione delle carriere o delle funzioni tra giudici e pm potrebbe consentire ulteriori passi avanti. Una maggiore distanza aiuterebbe, e anche una separazione fisica.

Quando la Procura presso la Pretura aveva la sua sede in piazza Umanitaria, fuori dal palazzo di giustizia, c'era meno dimestichezza tra giudici e pubblici ministeri. Ed era meno forte quella strana sensazione che prende noi avvocati quando ci troviamo in udienza davanti a un giudice, e scopriamo che a noi dà del “lei", e al pubblico ministero invece si rivolge col “tu"».

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