«Al Beccaria molti ragazzi d'oratorio»

«Al Beccaria molti ragazzi d'oratorio»

«Non sono pochi i giovani detenuti del Beccaria che mi dicono: “io facevo il chierichetto”». Don Claudio Burgio, cappellano del carcere minorile di Milano e fondatore di Kayròs, la comunità di recupero per ragazzi cosiddetti difficili (lui vive con loro), è impegnato in un nuovo progetto a Vimodrone: un centro di accoglienza che sarà anche una comunità aperta, con laboratori professionali e doposcuola. E una serie di incontri con i genitori, «perché tanti padri e madri mi contattano e mi chiedono aiuto».
Parlare con lui significa rassegnarsi a mettere da parte gli stereotipi più tranquillizzanti, come quello per cui ad arrivare in carcere sono solo ragazzi stranieri. O figli di famiglie disagiate, disgregate: «Una buona percentuale di ragazzi arriva da famiglie normali, anche cattoliche, legate al mondo delle parrocchie e degli oratori. Alcuni da ricche famiglie del centro. Negli ultimi cinque anni ne ho incontrati almeno venti. E parlo solo dei detenuti. Il numero cresce se pensiamo alla comunità di prima accoglienza del Beccaria o ai centri che accolgono ragazzi che compiono reati minori».
Don Claudio è maestro della cappella musicale del Duomo e ha scritto tante canzoni da oratorio. «Mi è capitato di sentirmele cantare dai giovani detenuti, che mi prendono in giro e mi dicono: sono proprio brutte» racconta. È successo anche di peggio a lui che va spesso in tour per le parrocchie a parlare con i ragazzi. «Una volta, alla fine di un ciclo di incontri di lectio divina, lettura e meditazione della parola di Dio, un ragazzo che aveva partecipato è venuto da me e si è confidato: don Claudio, non riesco a smettere di spacciare». Spacciare, non solo fumare spinelli, che comunque è già di per sé uno choc.
Non si può non trasalire, pensando a quel che non vediamo negli occhi, nei silenzi, nei gesti, nelle vite dei ragazzi. «Non dobbiamo pensare che l'oratorio sia un luogo protetto o esente da queste cose. Il sabato sera vanno in discoteca e si sballano, poi vanno alle catechesi in oratorio. Gli oratori di oggi hanno gli adolescenti di oggi. In qualche modo è un bene, se si riesce a creare un ambiente in cui un ragazzo possa sentirsi libero di confidare anche queste cose, così da essere aiutato. Molti ragazzi nascondono il loro vero volto in famiglia, perché temono di non essere adeguati alle aspettative dei genitori. Si mostrano solo con i pari, tra gli amici. Un ragazzo della comunità, al Beccaria per quattro rapine, mi ha raccontato che continuava a prendere la paghetta di dieci euro dai genitori e intanto faceva colpi da migliaia di euro. Cannabis e cocaina intercettano anche i ragazzi dell'oratorio. Un dato fino a qualche anno fa impensabile. Oggi ormai è difficile distinguere i ragazzi da oratorio come li intendevamo noi».
Vite nascoste che diventano rapine, più spesso di quanto a noi capiti di leggere di baby gang. «A volte sono ignari della legge quando arrivano in carcere. I giovani li chiamano “scavalli”, spesso ai danni di coetanei o più piccoli, con minacce e coltelli. In genere capita quando si indebitano per pagare sostanze. Non ne possono parlare in famiglia, si isolano. I reati, anche gli omicidi, sono quasi sempre legati a alcol o cocaina. Il problema alla base è questo». Fin qui la diagnosi. Ma la cura? «Parlare.

Quando i genitori sanno ascoltare e sono aperti al dialogo, difficilmente succedono queste cose. E questo vale anche negli oratori: è importante avere bravi educatori, parlare di ciò che è la realtà di moltissimi sabato sera dei giovani. In troppi fanno la comunione e fumano una canna. Senza porsi domande».

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