Da Bollani alla Mannoia sfilano big per tutti i gusti

Gli hanno dato dell'elettrodomestico. Del frullatore musicale, per l'esattezza. E chissà che cosa ne pensa. Sta di fatto che nessuno come Stefano Bollani riesce a metabolizzare - con naturalezza disarmante - jazz e canzonette, Puccini e Battiato.
Il geniale 39enne pianista jazz, nato a Milano ma trapiantato da un bel pezzo in Toscana, è fatto così. D'altronde l'ex «cocco» del trombettista Enrico Rava - una carriera già lunga alle spalle, mescolando jazz, pop, rock, brasiliana, classica, gag comiche (è un formidabile imitatore dei crooner italiani come Johnny Dorelli e Fred Bongusto), citazioni letterarie, improvvisazione seguendo l'estro del momento e conduzione radiofonica (la trasmissione cult «Dottor Djembe») e televisiva («Sostiene Bollani» è piaciuto tantissimo) - di cambiare veste e musica proprio non riesce a farne a meno. D'altronde, è nel suo Dna spingersi aldilà dei limiti di genere e di stile e rischiare sulla propria pelle.
Per questa ragione, non ha stupito nessuno la collaborazione con la postar fiorentina Irene Grandi, con la quale si esibirà domani sera al Teatro della Luna di Assago (la tensostruttura all'ombra del Forum) in un concerto pianoforte e voce in favore dell'favore dell'associazione «Bambinisenzasbarre» Onlus, tra i grandi eventi live della settimana che conduce al Natale. Anche perché i due si conoscono da una vita. Raccontano le biografie che la coppia, sul finire degli anni Ottanta, aveva pure messo in piedi un gruppo assieme, «La Forma». Con l'album (a loro nome) fresco di stampa si sono divertiti a rileggere «Viva la pappa col pomodoro» firmata nel 1964 per Rita Pavone/Gian Burrasca da Nino Rota e Lina Wertmuller e «Ohlos nos ohlos (Occhi negli occhi)» e «Roda viva» del maestro brasiliano Chico Buarque; lo standard «Dream a little dream of me» e «No surprises» dei Radiohead; «For once in my life», classico della Motown reso famoso da Stevie Wonder, come pezzi di ultime (o penultime) leve del cantautorato tricolore come Niccolò Fabi e Cristina Donà. Un viaggio musicale bizzarro che riesce comunque a suonare, nonostante tutto, molto naturale.
Inutile sottolineare quanto sia entusiasta la rigenerata Irene Grandi dell'esperienza in duo con l'imprendibile (e tutt'altro che canonico) jazzista, colto e popolare al tempo stesso. «Quando suoni con un gruppo ci sono regole più ferree da seguire, mentre Stefano ogni sera cambia l'arrangiamento e i tempi - ha dichiarato di recente -. Tuttavia, in in due è più facile ritrovarsi. Non abbiamo bisogno di nessun altro se non di noi stessi».
Il Forum di Assago, quello vero ed imponente, avrebbe dovuto ospitare per due sere, domani e mercoledì, il 49enne cantautore-pop di Rozzano Biagio Antonacci, chiamato a chiudere in bellezza il tour nei palasport italiani. E invece la popstar ha dovuto dare forfait a causa di un virus influenzale. A salvare la settimana all'insegna del sound tricolore, ecco stasera l'ennesimo concerto milanese (la location sarà il Teatro degli Arcimboldi) di Fiorella Mannoia, una romana davvero molto amata all'ombra della Madonnina. Anche la 56enne signora in rosso della musica cantautorale italiana è sempre perennemente in cerca di sfide nuove.

Così dopo essersi cimentata in una personalissima «dichiarazione d'amore al Brasile, al suo popolo e ai suoi artisti» e aver «coverizzato» Negrita, Negramaro, Renato Zero, Cesare Cremonini, Tiziano Ferro, Ivano Fossati, Niccolò Fabi, i Rokes e Lucio Battisti, con l'ultimo album di inediti, «Sud», non ha esitato a flirtare con il rap e con le musiche del «Meridione»: dal Burkina Faso di Thomas Sankara, il presidente ucciso nel 1987 all'Argentina di Piazzolla.

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