Il nuovo è sempre dietro di noi. E il futuro è solo una declinazione più à la page del passato. È anche per questo che James Bradburne, progressista d'antant e vorticoso direttore di Brera, idee liberal e panciotti chic, s'ispira alla lezione - «il Museo nella città e la città nel Museo» di Franco Russoli, leggendario soprintendente di Brera negli anni '70.
Il tempo corre, e mister Bradburne, vistoso orologio al polso e puntualità anglosassone, ci attende per mostrare cosa ha fatto a un anno dall'insediamento e cosa ha intenzione di fare nei prossimi due - davanti alla «Porta delle Meraviglie», in cima allo scalone d'onore di Brera. È la porta che immette direttamente nella Sala «Maria Teresa» della Biblioteca Braidense (per la quale Vittorio Gregotti disegnò negli anni '80 l'attuale infisso in metallo brunito), spalancata a ottobre, per la per la prima volta dopo 113 anni. «È stato un atto simbolico (e di potere, aggiungiamo noi: Bradburne è direttore dell'uno e dell'altra, ndr) -, il segno di una nuova sintonia tra il museo e la biblioteca, l'immagine e la parola. Che ora tornano a comunicare. Prego, entriamo...».
Entriamo nel museo più importante di Milano, il «museo dei musei» voluto da Napoleone, il Louvre d'Italie, una collezione permanente seconda solo agli Uffizi per l'arte italiana dal Due all'Ottocento, con almeno un paio di top player dell'arte mondiale: il Cristo morto di Mantegna e lo Sposalizio di Raffaello... Bradburne, che ci accompagna nel petit tour, è uno dei sette stranieri dei venti manager nominati dal ministro Dario Franceschini lo scorso agosto e che, grazie a una mai vista prima autonomia gestionale, dovranno garantire ai nostri musei più efficienza, più visitatori, più vivacità. James Bradburne, nato in Canada e formato in Inghilterra, 61 anni, trenta dei quali passati in musei pubblici e privati di mezzo mondo, da Londra a Palazzo Strozzi di Firenze, sei lingue parlate correttamente pur masticando con difficoltà, per fortuna, il burocratese, ce la può fare. La mission, per usare il suo inglese, è ridonare Brera alla sua città, Milano, affacciandola sulla scena internazionale. Su il sipario.
Lo spettacolo che va in scena, Bradburne l'ha studiato nei dettagli. Nuovo percorso spazio-temporale, nuovi colori alle pareti, nuove luci, nuove didascalie (di tre tipi: per i bambini, firmate da scrittori famosi, «curatoriali»). La parola d'ordine è una e trina: rinnovare, riorganizzare, riallestire. La regola di Bradburne - gilet policromi e un'idea ripetuta in maniera monotona è chiara: «Dobbiamo fare di Brera un posto meraviglioso da visitare e non solo un contenitore di cose meravigliose».
La prima meraviglia, per la percezione comune del museo statale, è che i custodi e le hostess vestono divise total black, firmate Trussardi, i primi in camicia bianca e cravatta, le seconde con un piccolo foulard del levriero. La maison dal giugno scorso è tornata a sfilare a Brera, con performance artistiche. I dettagli sono tutto, e Bradburne - prima manager, poi architetto lo sa bene. Ma sopratutto c'è il buon senso. La moda porta centinaia di giornalisti stranieri a scoprire i tesori di Brera.
Il primo gioiello è la Sala VI, quella di Carpaccio, della Pietà di Bellini, dei capolavori di Mantegna... Nuova illuminazione soffusa, il blu alle pareti, il Cristo morto tornato nella sua posizione naturale, ad altezza-occhi del visitatore... La distanza dalla sala dei leonardeschi, qui di fronte - non ancora rinnovata, con i colori stinti, le didascalie minuscole, i distanziatori - pur essendo fisicamente di tre-quattro metri, è quella che separa la National Gallery dal Museo civico di Gallarate. È un altro mondo.
Il mondo di Bradburne è un'esperienza prima di tutto estetica. E così ha già rifatto esteticamente rosso per il Medioevo, blu per il '400-500, verde per il Manierismo, cioccolato per la sala di Rubens... - venti su 38 sale del museo. Il percorso sarà completato entro giugno 2018, quando aprirà anche Palazzo Citterio, qui accanto (ora è un cantiere), dove saranno collocate le collezioni d'arte moderna: la Jesi, la Vitali, la Mattioli. E il «corridoio» del Novecento diventerà un intero palazzo... Aprendo nuovi spazi nella Pinacoteca. La Grande Brera è questa. Nella Grande Milano.
Nella grande Sala XXIV, il cuore di Brera, tutto è così come è sempre stato, e sarà. Insieme alla Sala del Settecento disegnata da Portaluppi, è l'unica che non sarà toccata. Bastano tre dipinti: Piero della Francesca, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello e il Cristo alla colonna del Bramante. Ma al centro del soffitto, a illuminare la Pala Montefeltro, quel diavolo di Bradburne ha piazzato la lampada «Brera», firmata da Achille Castiglioni nel 1962, a forma di uovo perché ispirata all'uovo di struzzo che nell'opera di Piero pende dall'abside. Un raffinato clin de l'il.
Apri gli occhi. Nella Sala XXIX scorrono i caravaggeschi e, in mezzo, da una decina di giorni, c'è la ricollocata Cena in Emmaus di Caravaggio, capolavoro assoluto di Brera, fino a oggi «nascosta» dietro la parete che divide il salone. E il visitatore, prima, doveva girarsi. Per la cronaca. Questa Sala sfoggia anche il prototipo delle future didascalie pensate per gli ipovedenti. La prima è accanto a un Cristo del Carracci: il dipinto è riprodotto, in piccolo, in rilievo, con indicazioni in Braille per «sentire» i colori. Il politicamente corretto - «Io lo chiamerei accessibilità più ampia», corregge il direttore Bradburne - è entrato a Brera.
Il direttore Bradburne è entrato a Brera per cambiarne il corso. E lo sta facendo, in modi diversi. Ad esempio. Valorizzare le risorse esistenti invece che inseguire «eventi» e mostre blockbuster. Mettere banner sulla facciata per mostrare i tesori delle collezioni. Aprire in futuro un ingresso laterale per l'Orto Botanico e l'Osservatorio astronomico. Tenere lezioni ai tassisti milanesi sul museo («Sono loro i nostri migliori promoter»). Continuare con l'iniziativa, lanciata prima dell'estate, dei giovedì low cost, ossia l'apertura serale del museo a due euro che ha portato, dalle 5-20 persone a sera quando si apriva il sabato, anni fa, alle mille in media di novembre e ai 1.700 di un giovedì («Il 45 per cento dei visitatori è sotto i 35 anni, il 90 per cento è di Milano e il 40 è la prima volta che viene qui. Vuol dire che i milanesi giovani scoprono adesso il museo... Ecco cosa significa valorizzare il patrimonio culturale»). E poi. Organizzare per l'estate un «ballo di Brera» come evento glamour.
E ecco una cosa moooolto glamour trasformare gli spazi dell'attuale bookshop (che sarà spostato in un grande spazio espositivo affacciato sul cortile centrale dell'Accademia) in una piccola caffetteria: archi, pavimento e decorazioni art déco coi tavolini estivi sul loggiato... «Se lo immagina un caffè qui dentro, stile Audrey Hepburn?».
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