Brera, fuori dalle cantine i maestri del '600 lombardo

«Faceva male tenerle nei depositi», dice Sandrina Bandera, soprintendete e direttrice della Pinacoteca di Brera. Il riferimento è alle tante, molte opere che si trovano nei magazzini interni ed esterni dell'ente in attesa che il progetto «Grande Brera» prenda finalmente vita (per ora, si registrano i dubbi del ministro alla Cultura Massimo Bray e la necessità di reperire altri 100 milioni oltre ai 23 stanziati dallo Stato). Nel frattempo, «Seicento lombardo a Brera. Capolavori da scoprire» (fino al 12 gennaio, catalogo Skira) è una buona notizia: non solo la mostra, curata da Simonetta Coppa e Paola Strada, propone al pubblico una ventina di opere di solito non esposte, ma testimonia, se ancora ce ne fosse bisogno, il fascino della pittura lombarda, troppo a lungo relegata al ruolo di sorella minore rispetto alle scuole romane o toscane.
Una cinquantina di opere, selezionate tra l'ingente patrimonio di dipinti del Seicento lombardo che appartiene alla Pinacoteca, sono ora esposte in un elegante allestimento (peccato manchino le date delle opere nei cartellini) che ha il suo fulcro nella trentesima sala con i dipinti da chiesa, procede nella trentunesima con le pale d'altare, in quella seguente presenta i soggetti di piccolo formato, poi i ritratti e, infine, nella trentaquattresima sala, si conclude con la ricostruzione della elegante Sala dei Senatori del Palazzo Ducale dell'epoca, l'attuale Palazzo Reale, dove si trovavano tre olii di Crespi, Montalto e Nuvolone. Siamo nell'età di Federico Borromeo, negli anni della fondazione dell'Accademia Ambrosiana, sono gli anni del Barocco e davvero questa carrellata di dipinti e pale d'altare pare - come afferma Bandera - «una scenografia teatrale». I nomi degli artisti non sono forse notissimi al grande pubblico ma furono i campioni di un'arte che doveva, secondo la lezione borromaica, educare e sedurre, insegnare e piacere. C'è Giovan Battista Crespi, detto il Cerano (chiamato nel 1620 dal cardinal Federico a dirigere al scuola di pittura dell'Accademia), ci sono i Nuvolone, Daniele Crespi, il Morazzone, Giulio Cesare Procaccini, il raffinato Tanzio da Varallo. Oltre ai quadri di soggetto sacro, spicca una nutrita sezione di ritratti e autoritratti dei pittori dell'epoca. La vera sorpresa della mostra è una donna: la pittrice milanese Fede Galizia (1578-1630) la cui grande pala «Noli me tangere», restaurata per l'occasione grazie al contributo di mecenati privati, è una delle opere più belle esposte. Raffigura la Maddalena (forse l'autoritratto della pittrice) in vesti modernissime e sgargianti mentre scorge Gesù Risorto: attorno a loro, un paesaggio delicato di erba e fiori.

Notevole anche il cosiddetto «Quadro delle tre mani», firmato dagli «artistar dell'epoca»: Cerano, Procaccini e Morazzone e il ritratto di Santa Caterina da Siena dipinto da Francesco Cairo, un «quadro teatrale» appartenuto alla collezione di Giovanni Testori.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica