A Brera i Tarocchi Sola Busca capolavori del gioco di 6 secoli fa

«Prendo con Elena di Troia e scarto Alessandro Magno». Si «tagliano» i Tarocchi Sola Busca del 1491, i più antichi al mondo, e una malìa scodinzola. Si alza un Tre di Bastoni per carpire il volo solenne, fievole del titolo di una mostra, «Il segreto dei segreti. I tarocchi Sola Busca e la cultura ermetico - alchemica tra Marche e Veneto». Il segreto dei segreti, la perpetua ricerca della pietra filosofale o dell'elisir dell'eterna giovinezza, la «somma sapienza e il primo amore» che dovevano rimanere muti come il volto di Eolo con la bocca sigillata da una ghirlanda e trafitta da tre bastoni, una delle icone dell'evento nella Pinacoteca di Brera fino al 17 febbraio.
Le carte Sola Busca, che traggono il nome dagli ultimi possessori e sono state acquistate dal Ministero dei Beni culturali nel 2009 per 800 mila euro, salvano la carta e il suo corpo alchemico che grida: «Non temete il passato», contro la tentazione dei videopoker in corsa verso un futuro senza memoria. Invece la memoria è da paura in questi settantotto pezzi, che hanno dato gioco duro alla studiosa Laura Gnaccolini per scoprire il loro autentico dipintore, Nicola di maestro Antonio di Ancona, i luoghi della loro fattura, dalle Marche a Ferrara a Venezia, scene metaforiche di un sapere ermetico - religioso diffusosi nel Veneto grazie a Francesco Petrarca. Siamo di fronte a un'enciclopedia teologica e misterica del Rinascimento. Ventidue i Trionfi, i segni più possenti, impersonificati da condottieri del tempo come Elena, Nabuccodonosor, Cicerone. Per annusare ironia e complessità delle rappresentazioni basta analizzare il Trionfo della Giustizia. Per sberleffo la Giustizia è figurata da Nerone che tiene in mano un bimbo per i piedi, come nell'iconografia di re Salomone. Il più ingiusto dei tiranni e il più sapiente dei giusti uniti in una carta che come tutto il mazzo sfolgora in tinte e pose teatrali, satiriche, quasi indecenti: incise a bulino, le piccole opere d'arte sono montate su cartoncino, miniate a colori e oro.
Come si giocavano i Tarocchi nell'aurora del '500? Lontani dall'essere mezzi di divinazione, come diverranno solo dal XVIII secolo in poi in Francia, costituivano un passatempo simile a una briscola con tre o cinque giocatori. Coppe, denari erano i semi più forti, bastoni e spade valevano meno. L'opera di Nicola di maestro Antonio costituisce un caso unico perché di fatto era una sorta di giornale con «interni», «cultura», «cronaca». Probabilmente il mazzo, indecifrato in molti suoi pezzi, fu usato alla corte ferrarese di Alberto d'Este, che fu esiliato, e appartenne a un suo fedelissimo, visto che la congiura di Catilina incisa su una carta allude ad un attentato politico contro il signore.
Le iniziali «V» e «S» indicano alcuni dei loro possessori, i Venier e i Sanudo di Venezia, dove per certo si sa che i simboli ricevettero i rossi, i blu, i gialli spessi come stoffe. D'altro non c'è certezza. Sono un enigma i Tarocchi Sola Busca, un indovinello smagante solo per un aspetto: il gioco non era un vizio ma il modo per ascendere a una conoscenza superiore di se stessi, alla magmatica divinità ardente e ardua in noi.

Nel 1491 a Venezia le carte erano tabù, tranne i Tarocchi in quanto considerati una pratica in cui l'intelligenza contava più della fortuna. Il catologo della mostra è Skira. Dopo questa esposizione la Pinacoteca ripresenterà i Tarocchi di Bonifacio Bembo.

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